«Regole e rituali» che disciplinano «un complesso sistema normativo». È la sentenza “Gotha” – oltre 7.500 pagine depositate dal Tribunale di Reggio a conclusione del maxiprocesso di primo grado alla “cupola” mafiosa della città dello Stretto – a tracciare per l’ennesima volta architettura e organizzazione interna della ’ndrangheta. Non solo la regolamentazione di «faide e situazioni di conflittualità tra le organizzazioni» o «il conferimento di doti e cariche, le cadenze temporali in cui devono svolgersi gli eventi annuali di interesse dell’associazione, la composizione delle copiate», ma anche «le aree di influenza secondo un principio di territorialità, i rapporti tra i consociati, le modalità comportamentali da tenere in situazioni conviviali» e persino «le modalità di relazione con enti ed apparati dello Stato». Ma non solo: «È altresì sancito – si legge nella sentenza – l’obbligo per l’affiliato di vivere attraverso azioni di carattere delittuoso, tra cui il ricorso alla sistematica attività estorsiva su ogni attività produttiva di reddito, l’obbligo di fedeltà ed obbedienza alle direttive superiori, l’obbligo di vendicare le offese ricevute senza far ricorso all'autorità statale, l’obbligo di assistenza, anche materiale, nei confronti di tutti quanti i militanti e in particolare della latitanti, l’obbligo di lealtà nella utilizzazione delle risorse economiche del gruppo, nonché il divieto assoluto di testimoniare contro affiliati».
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