La città si sveglia ai piedi del Santuario per accogliere l'abbraccio della sua Patrona. La Madonna molto ha da consolare alla comunità reggina che vive una stagione difficile. Una comunità litigiosa piena di conflitti, che si ritrova unita solo dietro la Sacra Effigie a cui affida preghiere e speranze. Sono tante le ferite da rimarginare per una città che su più fronti ha visto cadere molte delle proprie ambizioni e vede allontanarsi, ancora, le speranze di riscatto. Una festa che arriva in un contesto di delusione ed incertezza, con vertenze aperte, incognite sul futuro (dalla guida degli enti locali, alle infrastrutture), per un territorio che annaspa sotto il peso di una crisi economico, sociale, occupazionale che finisce per schiacciare tante speranze, facendo strada alla rassegnazione e alla sfiducia. Sentimenti che portano un numero sempre crescente di reggini a fare le valige e andare altrove.
E forse anche per questo quella di ieri è sembrata una processione meno “urlata”. I cori dei portatori della vara che hanno il pesante compito di sopportare sulle spalle (anche questo simbolo di condivisione di una fatica che solo con l'impegno di tutti può essere portata) la preziosa ma pesante struttura “E griramulu cu tuttu u cori: ora e sempri Viva Maria” sembravano ovattati.
Un invito alla condivisione in chiave di impegno civile a cui fa appello l'arcivescovo metropolita Fortunato Morrone che sceglie proprio l'atteso momento della festa, della consegna della Sacra Effigie da parte dei Cappuccini all'Arcidiocesi per scuotere le coscienze dei reggini: «Maria viene incontro a noi per dirci “ma volete una vita più dignitosa, più corretta, più decorosa, più dignitosa, dunque lecita?”. Sì, certamente che la vogliamo. Vogliamo più lavoro? Certamente sì. E allora noi diciamo “ci devono pensare i nostri amministratori, loro devono darci il pane”.
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