Nel processo “Xenia” sul modello di integrazione diffusa dei migranti a Riace, la parola passa ai difensori di Domenico Lucano, che oggi discutono davanti alla Corte d’appello di Reggio Calabria per chiedere l’assoluzione dell’ex sindaco contro il quale la procura generale, che ha già concluso, ha chiesto la condanna a 10 anni e 5 mesi di reclusione per reati che vanno dal peculato alla truffa, all’associazione per delinquere. Con Lucano sono alla sbarra altri 17 imputati, per i quali l’accusa ha chiesto 15 condanne e 2 assoluzioni.
Ma era proprio lui, l’ex sindaco, il principale indagato dell’inchiesta a suo tempo condotta dalla Guardia di Finanza di Locri, condannato in primo grado a 13 anni e 2 mesi di reclusione. In sede di appello i sostituti procuratori generali Adriana Fimiani e Antonio Giuttari hanno ribadito la solidità dell’impianto accusatorio, pur rilevando la prescrizione per i due presunti abusi d’ufficio, e chiedendo l’assoluzione per una parte del reato di truffa e il riconoscimento dell’unificazione di tutti reati con il vincolo della continuazione, chiedendo comunque un pesante condanna per colui che è stato il simbolo di un progetto di accoglienza che si è posto come modello da studiare e imitare.
Oggi sono previsti gli interventi degli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, difensori di Lucano, che già nell’appello contro la sentenza di Locri, hanno rappresentato le presunte carenze di quest’ultima rispetto alla corposa documentazione da loro prodotta, contrastando i singoli capi d’accusa, a cominciare da quelli sui reati più gravi quali l’associazione per delinquere e il peculato.
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