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Reggio, la legge del racket della 'ndrina Libri: imprenditori e commercianti nel mirino del clan

Pizzo ai commercianti e mazzette agli imprenditori: il racket delle estorsioni si conferma il “core business” della 'ndrina Libri, le nuove generazioni della cosca di Reggio Calabria con base operativa nella frazione collinare Cannavò ed una postazione nel direttorio di comando del mandamento “Città”. Le gerarchie moderne della cosca Libri non si limitavano ad esercitare la propria influenza nei rioni Condera, Reggio Campi, Modena-Ciccarello e San Giorgio Extra e nelle frazioni Gallina, Mosorrofa, Vinco e Pavgliana, ma puntavano ad espandersi con crescente autorevolezza criminale anche sul Corso Garibaldi, nel salotto commerciale di Reggio. «Siamo disorganizzati sul Corso... passo io o passi tu, e non passa nessuno. Così in tanti non pagano il pizzo», commentano due indagati incastrati ieri nella retata “Atto quarto”, l'ennesimo colpo di scure (dopo “Theorema-Roccaforte”, “Libro nero” e “Malefix”) della Procura antimafia contro la storica cosca Libri. Gli eredi degli storici padrini Mico e Pasquale Libri.

La retata è scattata all'alba di ieri. Solito breefing in Questura per raccordarsi sulle decine di “obiettivi” da centrare e un esercito di agenti in azione per seguire le 28 misure cautelari - 23 in carcere e 5 ai domiciliari - disposte dal Gip di Reggio, Flavia Cocimano. Contestualmente è stato disposto il sequestro preventivo di 11 società «riconducibili ad imprenditori indagati per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa» per svariati milioni di euro: tutte nel settore dell'edilizia, delle costruzioni, immobiliare con le eccezioni di un'impresa di pulizia e una ditta specializzata in prodotti “gluten free”. Ampio il ventaglio delle accuse contestate dalla Dda: gli indagati rispondono a vario titolo - «e allo stato del procedimento in fase di indagini preliminari e fatte salve diverse valutazioni nelle fasi successive» come precisano in conferenza stampa il procuratore Giovanni Bombardieri e il questore Bruno Megale - dei reati di associazione mafiosa, estorsione, tentato omicidio, detenzione illegale di armi, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.

 Era già in carcere, Edoardo Mangiola, 43 anni, una impetuosa carriera da fedelissimo di Pasquale Libri fino all'attuale posizione apicale. Gli inquirenti non hanno dubbi sulla sua escalation, indicandolo come «capo del locale di Spirito Santo». E dal carcere continuava a comandare, a impartire indicazioni agli affiliati, a dettare ritmi e dinamiche della linea della cosca. Le imbasciate le inviava anche attraverso telefoni cellulari, ingegnosamente modificati per poterli mimetizzare e introdotti all’interno degli istituti di pena dove era recluso. Così continuava ad essere capo, «con la fattiva collaborazione del figlio Beniamino Mangiola» e aggrappandosi «ai più fidati sodali quali Francesco Palmisano, Domenico Siclari, Caterina Belfiore e Ernesto Barbaro». Almeno 5-6 telefonini, che gli investigatori della Squadra Mobile riconducono allo stesso Mangiola, sono stati intercettati e sequestrati.

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