Reggio

Lunedì 23 Dicembre 2024

Inchiesta “Atto quarto”, imprenditori a Reggio vittime o complici dei clan

Da una parte gli imprenditori vessati dalla cosca Libri, dall’altra quelli che con quel clan hanno fatto affari a Reggio. In mezzo la procura antimafia che sprona chi è taglieggiato a denunciare: «Chi sceglie di stare con la ‘ndrangheta è un perdente» ammoniscono gli inquirenti, nella conferenza stampa tenuta dopo l’esecuzione dell’inchiesta “Atto quarto”. Nell’operazione eseguita all’alba di mercoledì scorso dalla squadra mobile, si mette in evidenza il «dinamismo delinquenziale della cosca Libri… e la sua stabile dedizione alle estorsioni ai danni di imprenditori e commercianti, oltre che la sua capacità di penetrazione nel mondo dell'imprenditoria e della politica» è emerso in diverse inchieste coordinate dalla procura antimafia. In sostanza, le risultanze di molti procedimenti hanno descritto l'esistenza e l'operatività della criminalità cittadina, fatta di una miriade di famiglie che hanno tra gli obiettivi anche «la costituzione di una cassa comune, ove confluiscono i proventi delle estorsioni, sì da consentire, tra l'altro, il pagamento delle spese legali gli affiliati… per la sistematica imposizione del "pizzo" agli imprenditori operanti nella zona di influenza, attraverso la tipica minaccia strisciante, cioè non esplicitata né con le parole, né necessariamente con atti intimidatori, ma, alimentata dall'appartenenza di chi la compie, nota alla vittima o opportunamente pubblicizzata, ad un'organizzazione ritenuta capace di azioni violente; per la protezione accordata alle imprese in regola con la ''messa a posto"; per l'esercizio, da parte degli affiliati più rappresentativi». All’interno di questo mondo complesso, fatto di parole non dette, di cognomi e appartenenze da esibire e di minacce più o meno esplicite, si trovano anche imprenditori che con i clan non solo scendono a patti, ma fanno addirittura affari. In “Atto quarto” due sono quelli finiti in carcere con l’accusa di associazione mafiosa. Nunzio Magno, «responsabile operativo nelle zone di Reggio Calabria e di Asti della società Psc Spa (impegnata nell'attività di impiantistica ed edilizia, per la realizzazione e posa in opera di impianti e sistemi elettromeccanici, termici, elettronici e telematici) - stipulava un accordo con gli esponenti apicali della cosca (da ultimo con Edoardo Magiola, in continuità con quanto già pattuito con i predecessori di costui), in base al quale la società Psc Spa si impegnava ad assecondare le indicazioni del gruppo mafioso in ordine all'individuazione degli operai da assumere ed alle ditte cui affidare subappalti; in cambio, Magno otteneva la protezione della cosca a garanzia del suo intervento per la risoluzione di problematiche di qualsivoglia natura che potessero insorgere nei cantieri, la possibilità di "aggiustare" le estorsioni provenienti da altre organizzazioni criminali e, più in generale, la messa a disposizione dell'intera consorteria mafiosa». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio

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