La Corte d’appello di Reggio Calabria ha riformato in maniera profonda la sentenza di primo grado per gli imputati coinvolti nel processo “Lex”. Un pronunciamento che ribalta in alcuni casi quanto stabilito dal Tribunale di Palmi il 23 ottobre 2020.
È il caso di Andrea Prossomariti e Claudio Napoli, assolti in primo grado dai reati di associazione e intestazione fittizia di beni, e condannati in appello a 13 anni per concorso esterno; mentre Alessandro Ferrentino, assolto in primo grado, è stato condannato a 25 anni per associazione mafiosa.
Angelo Lamari in primo grado aveva subito una condanna a 18 anni di carcere. La Corte d’appello reggina ha deciso di annullare la sentenza di primo grado per problemi di notifica. Per Lamari, quindi, si torna a Palmi dove si dovrà ritenere il processo di primo grado. I giudici di piazza Castello, intanto, hanno rideterminato la pena in 3 anni e sei mesi di reclusione. Stessa decisione anche per Vincenzo Lainà: dichiarata la nullità della sentenza di primo grado, atti rinviati alla Procura di Palmi e pena rideterminata a 4 anni e quattro mesi di carcere. Mattia Lamari è stato assolto dall’associazione mafiosa (in primo grado era stato condannato a 13 anni) e la pena è stata rideterminata a 4 anni di carcere; Andrea Mandaglio 10 mesi di reclusione, le altre contestazioni di reato sono prescritte. Stessa pronuncia per Giovanni Mandaglio, 10 mesi, gli altri reati prescritti; Fabio Mastroianni è stato assolto dall’associazione e la sua pena rideterminata a 4 anni, Josè Signorello 8 anni (13 anni in primo grado); Felice Zito 2 anni,
Condanne confermate per Francesco Brogna (1 anno e dieci mesi), Diego Freitas de Siquiera (2 anni e sei mesi) e Giuseppe Pititto (15 anni di reclusione).
Reato prescritto e non doversi procedere per Fabio Mezzasalma, Pier Luigi Aschei, Celeste Cordiani e Marina Panigo. Salvatore Monea, invece, è stato assolto.
L'inchiesta
Le indagini della Procura antimafia di Reggio Calabria, incentrate sui clan di Laureana di Borrello Ferrentino-Chindamo e Lamari, aveva portato all’arresto di più di 40 persone e indirettamente anche allo scioglimento del Consiglio comunale per l’infiltrazione della ’ndrangheta.
L’indagine, svolta dai carabinieri del gruppo Gioia Tauro, avrebbe fatto luce su una serie di episodi delittuosi avvenuti a Laureana di Borrello a partire dal mese di giugno del 2014. Elementi che per l’antimafia reggina denotavano l’operatività delle due cosche, spesso in contrasto tra di loro. Contrasti che, come si apprenderà dal pentimento di Giuseppe Dimasi, avevano quasi portato a una nuova guerra di ‘ndrangheta nel piccolo centro della Piana di Gioia Tauro, dopo la mattanza degli anni ’90 accertata dal processo “Piano verde”. Il blitz scattò all’alba del 3 novembre 2016.
Tutti sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, concorso esterno, porto e detenzione di armi da guerra e comuni da sparo, traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, danneggiamenti, lesioni personali gravi, frode sportiva, intestazione fittizia di beni, incendio, tutti aggravati dal metodo e dall’agevolazione mafiosa.
Per gli imputati che avevano scelto il rito abbreviato, la sentenza è già divenuta definitiva dopo il pronunciamento della Cassazione.
Tra gli arresti eccellenti dell’operazione “Lex” va ricordato l’ex assessore al Comune di Laureana, Vincenzo Lainà, accusato di essere l’uomo dei clan all’interno dell’amministrazione comunale. L’arresto del politico aveva portato la Prefettura di Reggio Calabria all’invio di una commissione d’accesso e dopo poche settimane allo scioglimento per mafia del Comune di Laureana di Borrello.
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