L’inchiesta “Smart delivery”, condotta dai carabinieri del Gruppo di Gioia Tauro, guidato dal colonnello Migliozzi, con il coordinamento della Procura di Palmi, ha messo in evidenza il diffuso consumo anche nella Piana di Gioia Tauro di cocaina e anche di crack, ovvero la coca resa fumabile attraverso un processo chimico e assunta attraverso il cosiddetto metodo della “bottiglia”. Tale singolare modalità di assunzione della cocaina “cotta” viene più volte menzionata nel corso dell’attività di indagine dai vari consumatori e, nel dettaglio, documentata in occasione di un servizio di Pg effettuato a Rizziconi. A favorire il consumo del crack sono state sia le dinamiche di mercato nazionale sia la facilità del pronto utilizzo. Tali situazioni hanno orientato lo spaccio verso la produzione e la vendita di una sostanza pronta all’uso a basso costo.
Il termine “pronta” nell’indagine, viene utilizzato sia dallo spacciatore che dal consumatore per indicare una “consumazione” di cocaina già idonea all’essere direttamente fumata con relativo confezionamento in un involucro in carta argentata per un costo commerciale dai 20 agli 80 euro. Centrale, per gli investigatori, nella piazza di spaccio di cocaina e crack di Gioia Tauro il “ruolo” di Domenico Laganà, la cui figura è emersa chiaramente grazie ad una telefonata anonima giunta al 112 nel novembre 2021, nel corso della quale un uomo ha fornito dichiarazioni in merito a un presunto fornitore di nome Laganà comunicando di avere un grave problema in merito a sua nipote, a suo dire rimasta coinvolta nel consumo di stupefacenti a causa dello stesso Laganà.
L’informatore riferiva che la nipote si stava mangiando tutti i soldi della famiglia per rifornirsi di stupefacenti, aggiungendo che Laganà era solito minacciare di morte la nipote, oltre che altri clienti, dicendo che le avrebbe sparato uccidendola se non avesse pagato la droga procurata.
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