Sempre attuale nelle ’ndrine reggine di ogni area del capoluogo e della provincia l'antica, e mai accantonata, regola di contribuire al sostentamento economico dei familiari dei detenuti. Una disponibilità manifestata, e soprattutto messa in pratica con versamenti “una tantum” o periodici a seconda dalle esigenze singole, dalle cosche di Scilla. Uno scenario che emerge dal ventaglio delle contestazioni della Procura distrettuale antimafia nei confronti degli imputati del processo “Nuova linea”. Colpite duramente dalle precedenti parallele retate – “Alba di Scilla 1 e 2”, “Cyrano”, “Lampetra” - i capiclan si attivano a contribuire economicamente alle spese dei familiari dei detenuti. Quadro d'accusa ricostruito nell'ordinanza di custodia cautelare e nell'informativa redatta dall'Arma dei Carabinieri che sarà sviscerata nella prossima udienza in Tribunale collegiale del processo “Nuova linea”.
Tema d'accusa sostenuto a carico degli imputati di entrambi i filoni processuali: «Una delle tipiche caratteristiche organizzative di ogni associazione di tipo mafioso è rappresentata come è noto dal sostentamento che gli associati in virtù del legame solidaristico ingenerato dalla comune affiliazione garantiscono ai sodali ristretti in carcere e ai loro familiari». Un modus operandi consumato anche a Scilla dalle nuove generazioni delle cosche “Nasone-Gaietti”: «A tale regola non si sottraggono i vertici delle 'ndrine di Scilla ed altri associati che aderiscono convintamente alla descritta etica mafiosa. Gli elementi di estrema genuinità e chiarezza permettono di affermare che a seguito degli arresti si è attivato il noto e consolidato meccanismo di solidarietà tra appartenenti alla ’ndrangheta che prevede il sostentamento del nucleo familiare degli affiliati che si trovano in regime di detenzione».
Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio
Caricamento commenti
Commenta la notizia