Reggio

Venerdì 22 Novembre 2024

‘Ndrangheta a Reggio, la scalata criminale del clan Borghetto-Latella: da satellite della cosca Libri ai vertici del direttorio mafioso cittadino

 
 
 
 

«Lo spaccato emerso è a dir poco inquietante». Non usano mezzi termini Procura antimafia e Gip nel tratteggiare le dinamiche criminali della 'ndrina “Borghetto-Latella”, capi e gregari colpiti dall'operazione “Garden” per aver tenuto in pugno il quadrilatero di Reggio sud, San Giorgio Extra, Modena Ciccarello e il “Marconi-Cusmano”. Per gli inquirenti un gruppo criminale in ascesa continua, capace di staccarsi dalla potente dinastia Libri di cui era stato “satellite” già dai tempi della seconda guerra di 'ndrangheta. Sono 27 gli indagati coinvolti nell’inchiesta del 14 novembre scorso, 25 dei quali finiti in carcere. Il patto con le famiglie rom Una escalation rimarcata nell'ordinanza di custodia cautelare: «Mostrando per la prima volta un nuovo e pericolosissimo volto della ‘ndrangheta che, pur di perseguire i propri lucrosi scopi, ampliare la propria potenza economica, rafforzare le proprie fila militari, anche con mercenari, e rafforzare il proprio potere di controllo sul territorio, è giunta finanche a stringere patti gravissimi con le comunità nomadi più pericolose ed insistenti sul territorio reggino. E lo ha fatto non solo asservendole a sé, intimidendole ed impiegandole nella concretizzazione di gravissime condotte delittuose, come reati in materia di armi, in materia di droga e, alla bisogna, anche di condotte violente e sanguinarie, ma nello stesso tempo, in forza di un necessario “do ut des”, legittimandole e, fatto ancor più grave, consentendo loro, forti della protezione di cosche storiche e potenti, uno spazio di autonomia e libertà delinquenziale di estrema pericolosità sociale che, altrimenti, non avrebbero potuto avere». L’organigramma della cosca Con l'inchiesta “Garden” gli investigatori del Gico del Nucleo di Polizia economico-finanziaria delle Fiamme Gialle hanno ripercorso l'evoluzione criminale della cosca che dalla roccaforte di San Giorgio Extra-Modena-Ciccarello erano riusciti a posizionarsi ai vertici del direttorio mafioso cittadino: «L’enorme messa indiziaria ha dunque consentito di accertare la esistenza ed operatività attuali della cosca Borghetto-Latella, da sempre articolazione della cosca Libri, ma nel tempo capace di acquisire autonomia strutturale e funzionale. Si è ricostruito il suo organigramma attuale, fatto di rigida gerarchia e di rispetto assoluto di regole e direttive, con ai vertici Gino, Cosimo Borghetto già collocati negli altissimi ranghi della intera Provincia 'ndranghetistica - e l’emergente e pericolosissimo Fabio Pennestrì, con colonnelli del calibro di Paolo Latella e Matteo Perla e con partecipi di elevatissima caratura criminale come Idotta e laria. È emersa la volontà ferrea di rafforzamento della cosca anche attraverso il rapporto con le altre 'ndrine, operando in sinergia criminale con queste e con una gestione partecipata delle attività estorsive ed un’equa spartizione dei proventi illeciti. È emerso ancora come la struttura della cosca si caratterizzi per gradi di affiliazione, cariche e cerimoniali ed i suoi membri partecipino anche a conferimenti di gradi di appartenenti ad altre 'ndrine». Una contestazione accusatoria sottolineata dal procuratore Giovanni Bombardieri, dall'aggiunto Walter Ignazitto, dai vertici della Guardia di Finanza calabrese, Gianluigi D'Alfonso, e reggina, Maurizio Cintura e Mauro Silvari: «Il capo-cosca sarebbe assurto a tutti gli effetti ai vertici del Mandamento di ‘ndrangheta di Reggio Calabria, rivestendo un ruolo di apicale spessore nelle gerarchie mafiose, di dispensatore di doti e cariche organizzative, nonché di programmatore delle ripartizioni dei proventi illegali fra il suo sodalizio e le altre 'ndrine della città». Cosimo e Gino Borghetto ai vertici del clan L'accusa è diretta a Cosimo Borghetto, 69 anni, capo dell'omonimo clan in sinergia con il fratello Eugenio detto “Gino”, 55 anni. Tema: “Affiliazioni e riti di ‘ndrangheta”, sviluppato dal Gip di Reggio: «In perfetta convergenza con quanto riferito dai collaboratori di giustizia, la cosca in esame si è rivelata custode delle più allarmanti tradizioni di ‘ndrangheta ed il suo capo, Cosimo Borghetto, ha dimostrato di possedere un altissimo rango criminale, tale da consentirgli di procedere a nuove affiliazioni e di conferire agli accoscati “doti” idonee al riconoscimento di una apicale collocazione nel locale organigramma mafioso». «Il collaboratore Liuzzo - si legge nell’ordinanza - con dovizia assoluta di particolari ha riferito del ruolo apicale e di referente nazionale della ‘ndrangheta assunto da Gino Borghetto all’interno del carcere tanto da avere, costui, in carcere conferito elevate doti di ‘ndrangheta. Il dato ha trovato in atti più di una conferma rappresentando Gino Borghetto, molto più diplomatico e capace di tessere relazioni pacifiche fra le ‘ndrine, punto di riferimento assoluto di appartenenti ad altre cosche. E sarà sempre Gino Borghetto che, in modo più cauto e meno esposto, farà bella mostra delle sue abilissime capacità direttive e della sua capacità di infrenare gli istinti violenti e focosi di Cosimo Borghetto e di Paolo Latella sia in occasione della pericolosissima lite intercorsa fra Paolo Latella e la comunità nomade che gli riconosceva a Gino Borghetto enorme autorevolezza mafiosa». La “santabarbara” a San Giorgio Extra: «Cosca armata fino ai denti» Il 10 ottobre 2019 la Guardia di Finanza scopre in un garage di via Sbarre Superiori, all'interno del condominio “La chiocciola” un “santabarbara”. Che non fosse nella disponibilità del 31enne pizzaiolo che aveva preso in affitto il locale erano certi, da subito, i magistrati del pool antimafia di Reggio. Erano invece «chiari e inequivocabili» i segnali che riconducevano alle 'ndrine di San Giorgio Extra. La conferma emerge dalla voluminosa ordinanza di custodia cautelare firmata dal Gip di Reggio Calabria, Tommasina Cotroneo. Tra le accuse sostenute dalla Dda nell'inchiesta “Garden”anche il rilevante possesso di armi della cosca “Borghetto-Latella”. In quel garage, «armi da fuoco, alcune clandestine, in quanto recanti la matricola abrasa, oltre a munizioni, esplosivo», per gli inquirenti costituivano solo una parte della potenza di fuoco del clan. Due arsenali rinvenuti e sequestrati e la conferma di una notevole potenza di fuoco della cosca: «Un così ingente e pericolosissimo arsenale bellico, dotato anche di armi da guerra e esplosivo micidiali, in territori invasi dalla ‘ndrangheta, come quello reggino, non potrebbe aver altro scopo se non quello di essere asservito ai bisogni della cosca di riferimento al fine di mantenerne saldi la forza anche militare e il dominio sul territorio... La struttura criminale di 'ndrangheta in esame può ritenersi senza alcun dubbio armata. Il duplice sequestro disposto ed avente ad oggetto veri e propri arsenali bellici comprensivi anche di armi da guerra ed esplosivo micidiali, la capacità e la repentinità manifestate nella ricostituzione del primo arsenale, a seguito del sequestro dello stesso, e la pluralità di dialoghi in cui gli accoliti ovvero indagati assai contigui alla cosca hanno confessato in diretta la detenzione di ulteriori armi, anche da guerra, o ancora episodi inquietanti, come il danneggiamento a colpi d’arma da fuoco sono espressione del fatto incontestabile che essa cosca è armata “fino ai denti”». Ed ancora: «D’altro canto, i precedenti giudiziari definitivi inerenti alla cosca Libri, di cui la cosca in esame è stata articolazione per decenni, o alla stessa cosca di che trattasi, sopra ripercorsi, rendono notorio il dato che si tratti di cosca armata e sanguinaria oltre che di mafia storica e storicamente impegnata in affermazioni del potere sul territorio anche con l’uso delle armi. Ben due sono le cruente guerre di mafia, che hanno mietuto centinaia di vittime, alle quali la cosca Libri con la sua articolazione oggi esaminata, hanno partecipato. La circostanza che trattasi di mafia storica, già riconosciuta con sentenze passate in giudicato come armata e caratterizzatasi per il compimento anche di azioni di sangue e per il costante uso delle armi per esercitare e ampliare il potere di intimidazione sul territorio conferma, dunque, la piena sussistenza anche dell’aggravante armata contestata». Microspie, talpe e mangiate: le intercettazione nel giardino di Matteo Perla Sapevano di essere indagati ma erano certi di fregare gli odiati sbirri. Due affiliati scovano una microspia piazzata in una aiuola malconcia a due passi dalla piazza dello spaccio e ironizzano: «Vedrai che ci arrestano tutti e la chiameranno operazione “Garden”». Accontentati. Trascorrono pochi mesi e il blitz delle Fiamme Gialle scatta smantellando la sinergia criminale tra la cosca “Borghetto-Latella” e la comunità rom. Fatali le cimici dei Baschi verdi: gli indagati parlano e parlano spianando la strada ai magistrati del pool antimafia. Gli scenari criminali vengono illustrati dal procuratore Giovanni Bombardieri e dall'aggiunto Walter Ignazitto: «Le loro conversazioni riguardavano spesso le assegnazioni di nuove doti di comando per ricoprire i nuovi organigrammi della cosca con riferimento ai precedenti compiti», ma soprattutto «abbiamo trovato un modo nuovo di relazionarsi della criminalità organizzata di stampo 'ndranghetista con gruppi di criminalità provenienti dalla comunità rom. Finora noi avevamo, come dire, accertato anche in via giudiziaria, l’appartenenza di singoli soggetti provenienti dalla comunità rom in cosche. Oggi verifichiamo invece un relazionarsi della cosca con gruppi di criminalità organizzata formati da soggetti provenienti dalla comunità rom che operavano in accordo con le cosche di ndrangheta». Matteo Perla, 61 anni, conosciuto da tutti come “Giorgio”, secondo gli inquirenti farebbe parte della cosca. L’accusa, nella nuova inchiesta, è di estorsione. E proprio il “giardino” di Perla sarebbe «in uso agli accoscati, anche in occasione della dazione agli indagati del provento estorsivo», annota la Procura antimafia. Conferme in questo senso arriverebbero dalle intercettazioni successive al ritrovamento di una microspia piazzata dagli inquirenti. «Questa è l’antenna, questa è la sua batteria, e qua c’era il microfono… due erano attaccato due microfoni… però tutto imballato... “Una bomba è”, mi ha detto... e io l’ho tirata con la scopa e ho detto... cos’è sta cosa pesante e poi Aldo ha preso e l’ha presa così...». La preoccupazione è indirizzata a cosa gli investigatori possano aver captato. A partire da una “mangiata” di qualche tempo prima, quando evidentemente la “cimice” non era stata scoperta («Io... ogni due mesi faccio la pulizia là sotto, è capitato stamattina tipo di fare… e ho preso…»). In tanti, troppi, avevano partecipato a quella riunione. E forse si era parlato assai: «Vabbè non penso da allora, da quando sono venuti e abbiamo mangiato L’anno scorso tutti…». Il pensiero va a Cosimo Borghetto, il capo, «che era solito – osservano gli inquirenti – parlare troppo soprattutto nella zona della porcilaia: “Qualche discorsetto l’ha fatto pure lui là nei maiali, sempre che parla è lui”». A gennaio del 2021, addirittura gli indagati arrivano a ipotizzare il nome della futura operazione “Garden”: «Io gli ho detto a Massimo... possono fare qualche Operazione Garden». Da non dormire di notte La preoccupazione per imminenti arresti, d’altra parte, è spesso presente nelle intercettazioni. Non hanno dubbi gli inquirenti: «Speravano che molti dialoghi e attività evidentemente illeciti non potessero essere stati captati. Si soffermavano con terrore sulla possibilità che potesse essere stata ripresa la “mangiata”, assai significativa in termini ’ndranghetistici, alla quale avevano partecipato tutti (“Eh speriamo che è negli ultimi giorni, non penso da allora”)». Proprio con Perla parla al telefono, l’8 luglio 2020, Cosimo Borghetto: «Non sto dormendo a casa lo sai… che ci arrestano pure…», dice ricordando di aver compiuto una serie di “fughe notturne” per il timore di operazioni di Polizia. Le informazioni “di prima mano” Borghetto le avrebbe avute da un appartenente alle forze dell’ordine nei giorni in cui scattava l’operazione “Imponimento”. «Mi stanno per arrestare allora non capisci… già lunedì è pure pronto, è già da sei mesi che poi mi dicevano che in settimana la facevano invece la settimana è già passata». E poi: «Prima di farla a Pellaro mi hanno detto che ci sono i Barreca pronti, poi la fanno a Croce, perché stanno facendo la famiglia tutta unita». Non ha dubbi Borghetto, che cerca di mettere tutti in guardia: «Hanno un’operazione devi dirgli di dirglielo… dice che dovevano fare questa di San Sperato… la dovevano fare invece poi hanno fatto quella… che vuoi che ti dico, ma io mi spavento… venti anni Giorgio, eh quello voglio dire». Alla ricerca di un nascondiglio Cosimo Borghetto parla anche di una possibile latitanza insieme al fratello Gino, anch’egli finito in carcere all’alba di martedì. Avrebbe studiato, e visto, possibili sistemazioni: «Ieri sono andato in due, tre posti, prima mi ha detto sì quello poi… si è spaventato che vengono… ora faccio andare a mio fratello… che c’è una casa chiusa… faccio andare mio fratello… in quella casa… a Gino… quella libera era quella di Tonino… siccome non gli piace dove sta andando ora… è pericoloso, dice che ha visto uno l’altra volta che non gli è piaciuto per trovargli una casa… ora dice ho un appuntamento alle quattro e mezza, che esce lui, appena lo becco gli devo dare un calcio in culo… hai capito? Mi volevano dare un’altra casa, quella là di coso, là sopra…». Pensava anche ai soldi Borghetto: «Devo prendere diecimila euro per campare». La manovalanza rom agli ordini dei Borghetto-Latella Uno scambio criminale in piena regola: i rom spacciavano con la benedizione della cosca, i capiclan sapevano dove rifornirsi di armi ed esplosivo e dove bussare quando veniva deliberato un raid punitivo. Bruciare una macchina, crivellare la saracinesca di un negozio, bruciare qualche mezzo di cantiere. Non solo affari di 'ndrangheta, ma anche investitura ai vertici del mandamento centro dei fratelli Cosimo e Gino Borghetto. Uno scenario tratteggiato dagli inquirenti: «I fratelli Borghetto si ponevano all’interno di questo patto federativo con una propria autonomia criminale che riguardava un settore della città di Reggio. Ci sono conversazioni che sono molto frequenti su questo punto e ci sono dichiarazioni di collaboratori su una “cassa comune” che serviva per il mantenimento e per la tutela di detenuti a prescindere dalla cosca di riferimento». Per il comandante regionale della guardia di finanza, generale Gianluigi D’Alfonso, si tratta di «una bella operazione che documenta la capacità della 'ndrangheta di intessere relazioni», e per il comandante provinciale Maurizio Cintura e il colonnello Mauro Silvari, comandante del Nucleo di polizia economico-finanziaria, l’inchiesta Garden «dimostra che non possono esistere aree della città che possano essere considerati “fortini” dove non vi è un’azione delle forze dell’ordine». Coordinamento editoriale di Francesco Altomonte

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