«Tonino lo sa quante persone abbiamo sulle spalle solo io e Nino, perché gli altri se ne fregano». In cima agli impegni morali dei capicosca di Gallico c’era l'azione di sostentamento alle famiglie dei detenuti. Un atteggiamento di solidarietà ed un modo di agire emersi a chiare note dall’indagine “Gallicò”, la retata della Procura antimafia in sinergia con Squadra Mobile e Carabinieri che all’alba di giovedì ha colpito duramente le ’ndrine di Reggio nord (18 misure cautelari disposte dal Gip, di cui 16 in carcere, 1 ai domiciliari, e 1 con obbligo di presentazione in caserma).
Nessun dubbio per gli inquirenti: con l'affiliato in carcere, a corrispondere lo stipendio ai familiari erano i vertici del clan. Una scelta di campo che è anche una strategia difensiva, come spiegano gli analisti della Direzione distrettuale antimafia, per scongiurare cali di tensione tra chi è stato incastrato e sottoposto a regime di detenzione e la drastica scelta di collaborare con la giustizia.
Il ricorso alla «bacinella comune», chiamando in soccorso anche i referenti apicali di Archi, è stato uno dei temi d'accusa evidenziato dal procuratore Giovanni Bombardieri in conferenza stampa: «Una delle principali attività della consorteria criminale che egemonizzava il quartiere di Gallico era quella del mutuo soccorso dei detenuti. Attraverso la raccolta di fondi si assicurava il necessario per le famiglie del detenuto, per la sua detenzione e per le spese legali per la sua difesa. Bisognava assicurare uno “stipendio” ai componenti il clan che erano incappati in indagini giudiziarie ed erano stati condannati».
Per gli inquirenti i più attivi in questo contesto erano Mariano Corso e Antonino Crupi (entrambi colpiti da ordinanza di custodia cautelare in carcere). Tra i capi di imputazione che gravano sui due anche l'occuparsi «del mantenimento in carcere dei sodali detenuti e della “colletta” per il pagamento delle spese legali dagli stessi sostenute»; ed inoltre davano «disposizioni agli altri affiliati affinché dessero supporto economico alla famiglia dei sodali detenuti nonché alla propria famiglia durante la propria detenzione».
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