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La città dell'azzardo, Reggio Calabria brucia i suoi risparmi nelle scommesse

I dati dicono molto, ma non tutto. Se da un lato i numeri certificano l’aumento esponenziale del gioco d’azzardo nelle sue varie declinazioni, dall’altra non spiegano le conseguenze nefaste di una pratica che per un numero sempre più crescente di calabresi (e italiani) è diventata una vera e propria dipendenza. L’Italia vive, in questo ambito, in un grande paradosso: mentre un’agenzia dello Stato, quella dei monopoli e delle dogane (Adm), lancia l’allarme sul preoccupante aumento dei volumi di gioco d’azzardo in tutte le sue declinazioni, la politica pare più concentrata sull’aumento della tassazione sulle vincite e alla ripartizione delle entrate che derivano dal gioco d’azzardo. Leggendo il report 2023 dell’Adm balza subito all’occhio la quantità di denaro che circola nel settore del gioco d’azzardo. Si tratta di cifre esorbitanti, un fiume di denaro che passa dalle tasche dei cittadini ai raccoglitori di scommesse: lo Stato, i broker privati. E le mafie. Numeri che a Reggio Calabria e nella sua provincia appaiono preoccupanti, sia per la quantità di soldi spesi nell’azzardo che per punti fisici dove si può scommettere. Sulle infiltrazioni da tempo concentrata anche la Direzione nazionale antimafia (Dna), perché un flusso così imponente di denaro non può lasciare indifferente la criminalità organizzata. Nella fascia d’età 18-74 anni (dove si concentra la quasi totalità dei giocatori) il gambling online, per esempio, corrisponde nel 2022 alla incredibile cifra di 1.719 euro annui pro capite, con marcate differenze nelle diverse aree del Paese. La Calabria e, soprattutto, la provincia di Reggio si attestano ai primi posti. «Dalla “visuale dell’azzardo” - si legge nell’ultimo rapporto di Federconsumatori e Cgil - Calabria, Campania e Sicilia vedrebbero prevalere i “cittadini tecnologici”. Un fenomeno che riguarderebbe soprattutto i centri medi e medio piccoli, proprio quelli che evidenziano le maggiori criticità in termini di occupazione e con problematiche significative nel tessuto civile. Esiste una relazione inversa fra la situazione socioeconomica finanziaria e l’incremento della raccolta complessiva dei giochi d’azzardo». Per quanto riguarda solo le giocate online, divise per regione e ripartite a livello territoriale, i valori procapite calcolati sul complesso della popolazione residente, in Calabria sono stati spesi 1.764 euro (nel 2022), 1.624 euro (2021) e 1.141 (2020). La nostra regione è dietro per poche centinaia di euro solo a Campania e Sicilia e sopra la media nazionale. Secondo i dati dell’Adm, nella provincia di Reggio Calabria, nel 2022, le giocate on line ammontano a 972.099.001,94.

Nella provincia di Reggio Calabria, si scommette su tutto: dagli sport tradizionali all’ippica, anche se secondo i dati la parte più rilevante è concentrata in rete. Un altro dato che vale la pena mettere in rilievo è quello che riguarda i punti fisici a Reggio Calabria: sono 138 le sale che hanno diritto ad accettare le scommesse virtuali, 142 quelle dove si può puntare sui giochi tradizionali (lotto, superlenalotto ecc.). Per rendersi conto delle proporzioni di quest’ultimo dato, basti pensare che a Roma (città con milioni di abitanti) sono 697. Infine, a Reggio 40 sono le sale riservate all’ippica.
Il gioco online ha coinvolto negli ultimi anni un numero sempre più crescente di giovani e giovanissimi. La pandemia ha avuto un ruoto fondamentale in questo caso. Questi dati allarmanti hanno spinto l’Agenzia delle dogane e dei monopoli ad adottare le prime contromisure con una serie di incontri nelle scuole su un tema che i ragazzi conoscono, un problema sul quale è fondamentale metterli in guardia.

Dipendenza e percorso terapeutico

L'altro volto della dipendenza, quella più difficile da individuare, quella che emerge spesso quando ormai sono compromessi legami familiari e condizioni economiche. Il gioco di azzardo patologico è una realtà diffusa, ma silente, subdola, resa ancora più pericolosa dalle tecnologie.
Il gioco è legale e di per sé non è un problema. Inizia ad esserlo quando sfocia nella patologia. Un fenomeno sociale che il Cereso, centro reggino di solidarietà, cerca di fronteggiare attraverso servizi e centri di ascolto nella sede di via Nazionale a Sambatello. Una finestra di speranza aperta nel 2007 che ha aiutato centinaia di persone e altrettante famiglie nel difficile percorso di recupero.

«Allora – spiega la responsabile del servizio Lidia Caracciolo – iniziarono a chiedere aiuto alcuni utenti trattati per altre problematiche che avevano delle ricadute per il gioco. Lì abbiamo avuto la percezione e l'estensione del fenomeno. Abbiamo accolto ed ascoltato i primi casi di chi entrava nel loop delle macchinette, delle slot machine. Ma poi il fenomeno si è spostato sulle scommesse dal calcio al cavallo, per arrivare oggi alle scommesse live e al gioco online». Un'escalation che accompagna l'evoluzione della tecnologia, ma anche la continua offerta. «Di fatto si può scommettere sempre sul risultato, anche prima che finisca la partita o la competizione». Prosegue il racconto della responsabile che in questi anni ha ascoltato le storie di famiglie disgregate, di patrimoni erosi da questa forma di dipendenza. «Le persone passano molto tempo collegati alle app, o direttamente nei locali, nei centri scommesse». Un fenomeno che ha volti diversi anche in base alla fasce d'età. «Gli anziani sono "vittime" del gratta e vinci, del lotto o del superenalotto, (giochi legali) quelli che vengono vissuti come giochi classici, ora con le estrazioni continue le persone stanno lì ore ed ore a fissare schermi che spesso si trovano anche all'esterno dei locali. C'è sempre qualche video che trasmette i risultati. Una strategia per agganciare i possibili utenti e al tempo stesso non affollare i locali. Del resto queste persone ci tengono alla privacy, all'immagine. Gente insospettabile, professionisti, imprenditori. Per questo è così difficile il percorso, spesso arrivano da noi spinti dalle famiglie. Quando magari emerge il problema di carattere economico, quando si è dato fondo ai patrimoni».
Un trend purtroppo in crescita. «Negli ultimi tre anni post pandemia siamo arrivati a circa 60 persone che hanno iniziato il percorso con il programma. Nel periodo della pandemia, anche se non potevamo vederci abbiamo proseguito i nostri incontri in rete. E proprio questo periodo strano ha fatto sì che si diminuisse il gioco nei luoghi fisici. Chi frequentava solitamente i bingo, le sale slot ha avuto un buon tempo di recupero. Ma chi invece aveva accesso alle app o ai service on line, ha giocato ancora di più. E questo trend purtroppo coinvolge le fasce più giovani. Anzi molti sono entrati nel loop del gioco proprio durante la pandemia. Per i nativi digitali ci sono percorsi molto attraenti. Non è detto che in palio ci siano vincite in denaro, ma anche premi. E questo nei circuiti mentali genera dipendenza».
Ma la cosa più difficile di questa forma di dipendenza è la consapevolezza. «Le persone iniziano il percorso convinte di affrontare il problema, anche quando hanno la ricaduta non hanno la piena consapevolezza, questa dipendenza è subdola, ti dà la percezione del controllo. Ma alimenta anche bugie: persone che vivono doppie vite, caratteristiche del giocatore, comportamenti legate alle relazioni, alla vita sociale, al lavoro». Prosegue la Caracciolo: «Abbiamo ascoltato tante storie di chi ha avuto problemi giudiziari, in una deriva socio economica e familiare».
I percorsi sono molto simili: all'inizio la famiglia giustifica, e copre i debiti ma questo alimenta la voglia di giocare. Si verificano grandi manipolazioni emotive e psicologiche».
Storie difficili: «Il 50% dei casi è stato salutato da successo. Ma sappiamo che la dipendenza è recidivante, cronica. L'obiettivo è allungare il più possibile il tempo dell'astinenza».

Storie di dipendenza: «Mi trovai disperato e pieno di debiti, ora spero di uscirne»

Si inizia a giocare d’azzardo per noia o per emulazione, per la scarica di adrenalina che produce. Spesso, però, quello che dovrebbe essere solo un passatempo finisce per divenire una gabbia dalla quale non si riesce più a uscire. Lo sanno bene gli ex giocatori che hanno intrapreso un percorso di terapia per potersi liberare della dipendenza dal gioco d’azzardo. Alcuni di quelli che frequentano il centro Cereso sono giovani, alcuni giovanissimi. E le loro storie, le loro tragiche traiettorie, finiscono per somigliarsi tutte. Si vedono in gruppo una volta alla settimana e un’altra da soli con i terapisti. È un percorso lungo e difficile, come tutti quelli per liberarsi da una dipendenza.
Giacomo, nome di fantasia come tutti gli altri con cui abbiamo avuto modo di confrontarci, è un ragazzo solare di 28 anni e ha iniziato a giocare da quando ne aveva 16. «Come spesso accade - ha spiegato - ho iniziato a scommettere sul calcio, una schedina ogni tanto con gli amici e poi alle slot machine. All’inizio era solo un passatempo, spendevo pochi euro. Quando ho iniziato a lavorare però, avevo più soldi e sono aumentate progressivamente anche le puntate». Il passaggio dallo spendere pochi euro a dilapidare tutti i soldi dello stipendio è stato breve. «Guardando indietro - ha aggiunto - mi rendi conto che passavo quasi tutto il giorno nelle sale scommesse o a giocare da casa nelle piattaforme online. Questa cosa è andata avanti fino all’anno scorso: ho sprecato 10 anni della mia vita. Mi sono reso conto circa due anni fa che avevo un problema, una malattia, ma non cercavo aiuto perché era più forte il desiderio andare a giocare. A un certo punto ho confessato tutto alla mia ragazza e poi grazie all’aiuto di un amico sono arrivato al Cereso. E da lì è cambiato tutto. Devo ringraziare la mia fidanzata, la mia famiglia e qualche amico perché mi sono stata vicini e mi hanno aiutato. Non gioco più da maggio, ma la via del recupero totale è ancora lunga».
Lo stesso percorso di Giacomo l’ha fatto Salvatore, grafico di 24 anni. Gli inizi da adolescente, le schedine con gli amici sul calcio, poi slot e scommesse online «Piano piano - ha raccontato - non era più un passatempo. Ho incominciato a giocare cifre sempre più alte credendo che potessi recuperare il soldi persi. Alcuni amici hanno iniziato a consigliarmi di smettere e farmi capire che era sbagliato. I miei genitori cominciarono a capire e mi chiedevano spesso cosa facessi con i soldi. E grazie a loro e a un mio amico sono riuscito a prendere coscienza della mia dipendenza e ho chiesto aiuto».
«Ricordo la faccia dei miei familiari quando gli confessai la mia dipendenza dal gioco d’azzardo e l’inizio della terapia». Lorenzo ha 34 anni è l’unico tra gli intervistati ad essere sposato e ad avere un figlio. A differenza degli altri due, la sua dipendenza è iniziata da adulto. «Ho iniziato tre anni fa insieme a un mio familiare - ha detto - scommettendo sul calcio, poi online facendo grosse puntate sulle gare live. Mi occupava tutta la giornata, mi svegliavo con la voglia di giocare per recuperare i soldi persi. In quei momenti non vedevo niente oltre al gioco, neanche mio figlio. Arrivato a un certo punto mi sono reso conto che non stavo bene, ho trovato sulla rete un numero verde e mi hanno indirizzato a Siderno. I miei genitori ci sono rimasti molto male; dirlo a mia moglie è stato molto difficile, l’ho fatto quando già avevo deciso di farmi curare. Lei aveva capito che ci fosse qualcosa di strano, ma fino a quel momento riuscivo a tenere tutto a bada. Poi è esploso tutto: quei problemi che avevo nascondevo per anni sono emersi. Ho contratto tanti debiti con familiari, amici. E ancora sono debitore di molte persone, ma ho iniziato la terapia a febbraio dell’anno scorso e posso dire di avere ripreso a vivere. L’incontro settimanale per me è diventato un evento importante perché ascoltare e parlare con gli altri che hanno il tuo stesso problema mi aiuta molto».
Una lunga dipendenza e un
Un’altra storia di lunga dipendenza è quella di Giuseppe «Ho iniziato a giocare intorno ai 16 anni con gli amici alle macchinette con i soldi della paghetta che mi davano i miei. Quando mi sono iscritto università ho smesso con le macchinette e ho iniziato con il poker, spendendo i soldi come mi davano i miei genitori per mantenermi e ho iniziato a fare debiti. Dopo un anno mi sono ritirato dall’università e ho cominciato a lavorare: ho polverizzato i primi due stipendi e a casa se ne sono accorti. Mio padre ha iniziato a gestirmi lo stipendio e io a chiedere soldi in giro, una cosa che non avrei mai pensato di fare. Mio padre è mancato per qualche tempo da casa e senza il suo controllo è andata sempre peggio. Mi hanno mandato una prima volta in terapia contro la mia volontà. Dopo la riunione andavo a giocare. Poi l’anno scorso mio padre è tornato a casa e ho confessato. Mi hanno aiutato i miei e da marzo dell’anno scorso ho smesso di giocare. Ho avuto una ricaduta a dicembre, ma mi è stato detto che le ricadute sono terapeutiche ed è vero: da dicembre infatti non penso al gioco. Spero di riuscire a uscirne».

'Ndrangheta e scommesse

L’ultima conferma degli appetiti della ‘ndrangheta per il mondo delle scommesse è arrivato dalla maxi confisca da 400 milioni di euro che la Guardia di finanza ha eseguita ai danni di Antonio Ricci. L’imprenditore reggino, attivo nel settore dei giochi e delle scommesse online, è rimasto coinvolto nell’operazione contro la ‘ndrangheta denominata Galassia coordinata dalla Dda di Reggio Calabria contro la ‘Ndrangheta. In quell’inchiesta, contro Ricci era stato emesso un provvedimento di arresto europeo eseguito qualche tempo dopo a Malta dove l’uomo, da tempo, risiedeva con la sua famiglia e da dove successivamente era stato estradato in Italia. L’inchiesta della Dda reggina aveva permesso di scoprire l’esistenza di un sistema criminale finalizzato all’illecita raccolta delle scommesse, con base decisionale ed operativa a Reggio Calabria e ramificazioni anche a Malta, in Romania, Austria e Spagna.
In principio, però, fu Gioacchino Campolo, chiamato “Il re dei videopoker”, a fare emergere l’interesse della ‘ndrangheta sul gioco d’azzardo. D’altronde, un giro di denaro così imponente non poteva (e non può) non suscitare gli appetiti delle cosche. Nella sola provincia di Reggio Calabria sono state diverse le grandi operazioni, coordinate dalla Procura antimafia, che si sono concentrate su questo filone e alcune che lo hanno lambito. Il contrasto all’illegalità in questo settore, però, non ha riguardato solo la criminalità organizzata.

Nel solo quinquennio che va dal 2019 al 2023, per esempio, la Guardia di finanza di Reggio Calabria ha effettuato 185 interventi a tutela del monopolio statale del gioco e delle scommesse riscontrando 70 violazioni. Sono state verbalizzate 388 persone, di cui 23 sono state denunciate. Nelle indagini sono rimasti coinvolti anche 5 minorenni.
Nello stesso periodo, le Fiamme gialle hanno sottoposto a sequestro 50 apparecchi e congegni da divertimento/terminali ed individuati 7 punti clandestini di raccolta scommesse.
Ma è sulla ‘ndrangheta che le attenzioni della Dda reggina si concentrano con maggiore vigore. Gioacchino Campolo è morto a 82 anni nel 2021 mentre si trovava ristretto ai domiciliari, mentre stava scontando condannata a titolo definitivo a 16 anni di reclusione per estorsione aggravata dalle modalità mafiose e in primo grado di giudizio ad altri nove anni di carcere per associazione a delinquere, frode fiscale e intestazione fittizia di beni.
Campolo era stato condannato per estorsione in danno di locali imprenditori, cui avrebbe imposto di utilizzare le proprie macchinette, aggravata dalle modalità mafiose (in quell’occasione fu arrestato Andrea Gaetano Zindato, 25enne presunto esponente dell’omonima famiglia mafiosa). Nel luglio 2010 sempre la Guardia di Finanza, con l’operazione “Les Diables”, emersero nuove accuse per Campolo, ritenuto dagli investigatori legato a vari esponenti della ‘ndrangheta reggina. Tra i collaboratori di giustizia che hanno accusato Campolo figurano Paolo Iannò, ex componente della cosca Condello, Antonino Fiume e Giovanni Battista Fracapane, questi ultimi due ex componenti della cosca De Stefano. Ancora, secondo le accuse, Campolo avrebbe sistematicamente aggirato la normativa sui videopoker e avrebbe dotato gli apparecchi da gioco che gestiva di marchingegni capaci di consentire vincite in denaro. Per comprendere il giro d’affari che aveva messo in piedi Campolo, basta riportare la somma del sequestro record che le Fiamme gialle avevano eseguito in quegli anni: 330 milioni di euro, tra beni immobili.
L’azzardo online è uno dei più importanti canali di riciclaggio di capitali sporchi. È una evidenza, lo dicono con chiarezza anche i numeri del rapporto di Federconsumatori e Cgil. Nei territori ad alto tasso di criminalità organizzata la quantità di giocato online è abnorme. Nelle provincie calabresi di Crotone, Reggio Calabria, per esempio, si giocano somme triple o quadruple rispetto a Modena, Bergamo, Firenze, Trieste, Padova e Verona. «Negli enti locali - si legge nel rapporto - che hanno o hanno avuto decreti di scioglimento per infiltrazioni e condizionamenti di tipo mafioso, i numeri sono impressionanti. Non solo mafie però: l’azzardo, fisico e online, è infatti un luogo privilegiato per il riciclaggio di somme provenienti da aree imprenditoriali a storica elevata irregolarità, come il settore turistico e l’imprenditoria cinese, che gestisce anche numerose sale slot».

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