Reggio, l’arroganza della ’ndrangheta dietro l’attentato incendiario alla rivendita di tabacchi a Ravagnese
Doveva essere loro quella rivendita di tabacchi a Ravagnese messa in vendita. E contestualmente andava rivista la decisione dell'esercente che aveva già stretto un accordo con un acquirente non gradito ai capizona. Ruotano attorno anche a queste specifiche conclusioni investigative i motivi secondo cui la Corte d'Appello ha confermato le condanne inflitte in primo grado agli imputati del processo “La fabbrica dei cornetti”, l'indagine dei Carabinieri che ha ricostruito l’attentato incendiario a scopo estorsivo ai danni del titolare di una rivendita di tabacchi nel quartiere Ravagnese. Seppure rideterminate restano pesanti le condanne inflitte a Antonio Morabito a 10 anni e 4 mesi di reclusione (in primo grado 16 anni); e Riccardo D'Anna a 3 anni, 10 mesi e 20 giorni di reclusione (rispetto ai 5 anni e 8 mesi). Le accuse: associazione mafiosa (solo a carico di Morabito) e tentata estorsione mediante il danneggiamento con liquido infiammabile. Per i Giudici d'Appello si trattò di un'azione delittuosa conseguenza della mentalità mafiosa del principale imputato: «Sulla base di tutte le risultanze compendiate, il Gup, oltre ad aver ritenuto dimostrata la partecipazione di Morabito Antonio alla ’ndrangheta, con il ruolo apicale, ha ritenuto ulteriormente provata la responsabilità dei due imputati in ordine ai reati di tentata estorsione e di danneggiamento seguito da incendio. In merito al danneggiamento, in particolare, il Gup ha evidenziato l'assenza di qualsivoglia dubbio rispetto alla riconducibilità dell'azione criminosa proprio ai due imputati, in considerazione della confessione in proposito resa da D'Anna Riccardo, che aveva individuato come mandante del reato il Morabito. Confessione confortata delle chiare ed univoche emergenze investigative tratte dall'esame delle intercettazioni in atti, dalla visione dei filmati delle telecamere collocate nei pressi del tabacchino e dalle verifiche operate dalla Polizia giudiziaria che aveva reperito nel cortile di casa del D'Anna lo scooter utilizzato dallo stesso per la commissione del fatto in oggetto. Elementi probatori a fronte dei quali del tutto inverosimili erano apparse le scarne dichiarazioni rese dal Morabito in sede d'interrogatorio di garanzia». Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Reggio