Nel 2014 gli era stata rilasciata una certificazione dal prefetto di Reggio Calabria che permetteva alla sua azienda di poter lavorare con la pubblica amministrazione. Lo stesso ufficio, però, nel 2021 aveva cambiato idea emettendo un’interdittiva antimafia e di fatto portando alla chiusura dell’azienda. Contro quel provvedimento, il legale di Antonio Maviglia, l’avvocato Pasquale Simari, ha proposto ricorso al Tar di Reggio Calabria e i giudici amministrativi gli hanno dato ragione. La prefettura, nell’interdittiva, aveva messo in evidenza «un quadro indiziario ritenuto complessivamente sintomatico del pericolo di infiltrazione mafiosa... nello specifico contesto territoriale di riferimento, coincidente con il cosiddetto “mandamento jonico”, ed avuto riguardo al peculiare settore delle cosiddette autorizzazioni di fida-pascolo, un reticolo di rapporti parentali e relazionali con soggetti gravitanti attorno alla cosca di Morabito-Palamara-Bruzzaniti, attiva in Africo». Antonio Maviglia, come detto, era proprietario di un’attività zootecnica dedita all’allevamento di bovini, ovini e caprini allo stato brado e per questo motivo destinatario, nel tempo, di autorizzazioni per il pascolo da parte di azienda Calabria Verde nonché dei Comuni di San Luca e Samo. Nel febbraio del 2021 il prefetto di Reggio Calabria ha adottato un’interdittiva antimafia nei confronti dell’azienda sulla scorta di alcune informative del comando provinciale del Carabinieri di Reggio Calabria. Una decisione che aveva portato alla naturale chiusura dell’azienda.