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Reggio, i detenuti alla ricerca di “cubicoli” e del passaggio al reparto “Cariddi”

Le relazioni all’interno delle carceri “San Pietro” secondo il collaboratore di giustizia Trunfio. «Non cercavamo mai una cella destinata a persone di Reggio-città per non fare un torto e perché non l'accettavano sicuramente»

Relazioni, frequentazioni, simpatie, amicizie e privilegi in carcere. Anche sugli spaccati di vita quotidiana all'interno della casa circondariale di Reggio, plesso “San Pietro”, si è soffermato il collaboratore di giustizia Francesco Trunfio. In Tribunale (presidente Greta Iori, giudici a latere Marco Cerfeda ed Elsie Clemente) è intervenuto (nelle vesti di imputato di reato connesso) nel processo all'ex direttrice delle carceri reggine, la dottoressa Maria Carmela Longo (difesa dall’avvocato Giacomo Iaria con la collaborazione dell’avvocato Francesco Giorgio Arena).
Sollecitato dal Pm Sabrina Fornaro si è soffermato (come emerge dal verbale di udienza del 2 maggio) sulle differenze strutturali tra il reparto “Scilla” e il “Cariddi” - «quasi un albergo, con celle nuove e spazi per l'attività fisica» - e sul ruolo centrale ricoperto dai detenuti di Reggio. Uno scenario dato per scontato dal collaboratore di giustizia: «Non c'era bisogno che io entrassi in carcere per sapere che nel carcere di San Pietro e di Arghillà comandano le persone di Reggio Calabria». Anche per spostarsi da una cella all'altra: «Allora, se io, che ero della Piana, cioè dalla Piana di Gioia Tauro, volevo passare in una cella con altre persone della Piana, in quel caso i reggini non venivano nemmeno interpellati, perché non è che noi lì eravamo, cioè, all'università, cioè non è che eravamo ragazzi per bene, cioè persone che ci faceva intimorire il fatto che eravamo a Reggio Calabria».

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