«Una famiglia calabrese che fa arrivare un carico di cocaina a Gioia Tauro è tenuta a informare le altre famiglie. Solo nel caso in cui le famiglie importanti non siano interessate ad acquistare una quota del carico è possibile offrirla ad altre persone. Chi non rispetta questa regola rischia di essere ucciso o di essere “spogliato”, nel senso di essere estromesso da qualsiasi affare o di essere privato di protezione». A riferire di questo modus operandi del gotha della ’ndrangheta del settore del narcotraffico internazionale è il collaboratore di giustizia Vincenzo Pasquino ai magistrati della Procura distrettuale di Reggio Calabria, il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e il sostituto procuratore Diego Capece Minutolo, presenti nel corso dell’interrogatorio reso il 7 maggio scorso all’interno della casa circondariale di Roma Rebibbia.
La collaborazione
Il 34enne Pasquino, piemontese d’origine, legato dapprima ai gruppi dediti al traffico di sostanze stupefacenti riconducibili alle ‘ndrine di Platì e poi legato agli affari delle consorterie di San Luca, ha iniziato a collaborare con la magistratura raccontando numerosi retroscena che stanno dietro al business della droga, in particolare, del mercato mondiale della cocaina. Pasquino, che è stato arrestato durante la latitanza mentre si trovava in Brasile insieme a Rocco Morabito, detto “Tamunga”, e successivamente estradato in Italia, ha deciso di “saltare il fosso” e ricostruire i legami con gruppi operanti nella Locride, parlando anche di summit avvenuti negli anni, sia all’estero sia in Italia.
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