Reggio, processo all'ex direttrice del carcere: “Mancavano palloni e maglie... parlai con un detenuto e arrivarono”
Privilegi? O ordinarie dinamiche relazionali in contesti delicati e di sofferenza? Per il collaboratore di giustizia Francesco Trunfio, un passato da fedelissimo delle cosche di Gioia Tauro, era la normalità della vita in carcere. Una situazione non solo di Reggio, nel plesso “San Pietro”, ma praticamente ovunque in Italia come argomenta dagli scranni dei testimone della Procura nel processo a carico dell'ex direttrice Maria Carmela Longo, difesa dagli avvocati Giacomo Iaria e Francesco Giorgio Arena. Il collaboratore di giustizia racconta anche “la normalità” di poter beneficiare di semplici condizioni di vita rispetto alle lungaggini della burocrazia. La domanda del Pm Sabrina Fornaro (verbale del 2 maggio) è diretta: «Ma quando dice di spendere una parola intende comunque presso, diciamo, l'amministrazione, presso il comandante, presso la direttrice? Cioè Lei spendere una parola che intende? Ci faccia capire». Trunfio: «Come ho già detto prima questo non le so dire, però le dico subito un esempio banale che è successo con me personalmente, volevamo… siccome il campo era stato fatto nuovo, un campo bellissimo, tipo, con una pista ciclabile e tutto, c'erano attrezzi dove potevi fare di tutto, io ero una persona che giocava frequentemente a calcio, tutte le volte che ciò era possibile, e non avevamo questi palloni nuovi né le casacche per distinguerci uno dall'altro, queste cose qui, e niente abbiamo lottato per un mese, ogni giorno richiesta, che li paghiamo noi, a nostre spese, ma nada…». Pm: «Pagate voi che cosa? Che cosa volevate pagare? Non ho capito».