“La sentenza ha confermato le mie accuse alla cosca Crea”, l'ex sindaco di Rizziconi esorta a denunciare
La sua vita è cambiata all’improvviso, all’alba di una calda mattina di inizio giugno del 2014. Una mattina in cui le sirene delle volanti della squadra mobile di Reggio Calabria e del commissariato di Gioia Tauro squarciarono il silenzio che ancora regnava per le strade di Rizziconi. La casa dell’ex sindaco Nino Bartuccio, nel centro storico della cittadina della Piana di Gioia Tauro, era piantonata dalle forze di polizia, mentre i poliziotti arrestavano 16 persone accusate di essere vicine alla potente cosca Crea, famiglia di 'ndrangheta considerata dalla Dda di Reggio Calabria regista delle manovre che nel 2011 avevano portato alla caduta dell’amministrazione guidata dal sindaco Bartuccio. Esperienza politica naufragata a causa delle dimissioni della maggioranza più uno dei consiglieri comunali. Era il blitz dell’operazione denominata “Deus”, dall’ordinanza di custodia cautelare si apprese presto che buona parte dell’inchiesta poggiava sulle dichiarazioni dell’ex primo cittadino. Da allora, il commercialista Nino Bartuccio e la sua famiglia vivono sotto scorta. Nessun ripensamento su quella scelta, sul suo presente di testimone di giustizia: «Da quel giorno sono un cittadino libero», ripete sovente quando è chiamato a parlare in pubblico della sua vicenda personale. Dieci anni dopo gli arresti, si è concluso l’appello bis del processo nato da quell’inchiesta. Un nuovo procedimento di secondo grado dovuto all’annullamento, da parte della Cassazione, della prima sentenza di appello. Nonostante gli sconti di pena nei confronti di alcuni imputati, Bartuccio (parte civile nel procedimento) non può che dirsi soddisfatto. Non solo per il risarcimento dei danni nei suoi confronti da parte del boss di Rizziconi Teodoro Crea che conferma la bontà delle sue dichiarazioni, ma anche per altre ragioni: «Per quanto riguarda la sentenza non mi va di commentarla – ha spiegato Bartuccio a Gazzetta del Sud - va rispettata e applicata. Ovviamente, è un dato oggettivo che ha confermato quello che è l’impianto accusatorio. Inoltre, tutti gli atti del processo “Deus” sono confluiti in altri procedimenti e sono stati usati per condanne pesanti nei confronti degli esponenti della cosca Crea». Nella seconda sentenza d’appello del processo “Deus”, Teodoro Crea non è stato condannato per associazione mafiosa, ma solo per la violenza privata, in concorso con un ex consigliere comunale, nei confronti proprio di Bartuccio. Il perché di quella decisione la spiega lo stesso testimone di giustizia. «Il reato di associazione mafiosa era già stato contestato a Crea e per quello era stato condannato nel processo “Toro” che copriva gli anni fino al 2015. Ma la sentenza ha confermato anche altri dati oggettivi. Quello che avevo denunciato è stato confermato, c’è anche da dire che le mie accuse sono confluite nel processo “Toro” e in quello “Demasi”. Certo, ci sono state anche assoluzioni, ma non commento perché le sentenze vanno rispettate. Non so se la procura intenderà impugnare in Cassazione. Queste notizie non le ho». Bartuccio ha seguito in prima persona il processo in tutti i suoi gradi: «Non ero da solo, ma insieme al mio avvocato Nino Guerrisi che ringrazio tantissimo. È stato accanto a me non solo come professionista, ma anche come amico». Sempre presente in aula, quindi, perché «ho sentito il dovere e anche per comprendere cose di cui non ero a conoscenza». L’intervista si chiude con un ringraziamento e un appello: il primo rivolto alla «polizia e alle altre forze dell’ordine che ci proteggono permettendoci di continuare a vivere a casa nostra; al prefetto, al procuratore, questore e comandante dei carabinieri». Il secondo ai cittadini: «Ribellatevi allo strapotere mafioso, solo così possiamo liberare la nostra terra e soprattutto i nostri giovani. Dobbiamo essere custodi del loro futuro».