'Ndrangheta a Torino, negati i domiciliari a Francesco Ferrara: «L'imprenditore amico dei boss può condizionare i testimoni»
«Se rimesso in libertà può condizionare le dichiarazioni dei testimoni». È con questa motivazione che i giudici del Tribunale del Riesame (presidente Stefano Vitelli) di Torino hanno deciso di tenere ancora in carcere – negandogli quindi gli arresti domiciliari – il 48enne Francesco Ferrara noto nel capoluogo piemontese come il “re dei mercatini di Natale”. Per i giudici piemontesi, nel motivare la bocciatura della richiesta dei “domiciliari” esisterebbe, oltre al possibile inquinamento delle prove, pure un concreto pericolo di fuga dell’uomo. Il piemontese Ferrara, come si ricorderà, era stato, unitamente a un’altra mezza dozzina di persone, arrestato a metà giugno scorso a seguito di un’operazione compiuta dagli investigatori della Questura di Torino e coordinata dai magistrati antimafia piemontesi perché accusato di estorsione, lesioni e sequestro di persona. Ferrara, sempre secondo i magistrati antimafia della Dda di Torino, è ritenuto imprenditore che avrebbe un presunto ma solido contatto con un clan della ‘ndrangheta trapiantato in Piemonte, inoltre amico e socio in affari con noti esponenti di primo piano del crimine organizzato calabrese originari della Vallata dello Stilaro. A breve, inoltre, su Francesco Ferrara, in virtù delle nuove indagini portate avanti con estrema caparbietà dal pm torinese Manuela Pedrotta, potrebbe cadere anche un’altra accusa. Un crimine che se provato e poi contestato all’indagato, rischia di complicare, e non di poco, la situazione penale a carico dell’imprenditore torinese. La Procura del capoluogo piemontese ipotizza infatti che alcuni soldi impiegati dal facoltoso indagato («soggetto dalla considerevole forza finanziaria ricoprente ruoli in diverse società nei più diversi settori economici e merceologici», ha scritto il Gip del Tribunale di Torino, Giorgia De Palma, nell’ordinanza di custodia cautelare emessa a carico di Ferrara a metà giugno scorso) in attività potrebbero rappresentare una specie di “cassetto” della ‘ndrangheta o comunque a quel mondo collegati.