Reggio, gli affari nelle scommesse sportive con la benedizione della 'ndrangheta: sotto chiave 15 terreni e 3 società
Una nuova confisca di beni contro gli imprenditori che avrebbero fatto affari d'oro con le scommesse e i giochi sportivi on line con i favori, la complicità o la benedizione, della 'ndrangheta reggina. Dei potenti esponenti delle cosche di Archi e della Piana colpiti dalle maxi inchieste “Gambling” prima e “Galassia” dopo. Nel mirino della Procura distrettuale antimafia e della Guardia di Finanza, specificatamente gli investigatori del nucleo di Polizia economico-finanziaria e dello Scico, è finito il patrimonio di uno degli imputati principali del processo “Galassia”, Santo Furfaro, 58 anni di Gioia Tauro, imprenditore con interessi nel centro Italia nel settore dei giochi e delle scommesse. Sotto chiave, come disposto dal Tribunale sezione “misure di prevenzione”, l’intero compendio aziendale di una ditta individuale e due società, tutte operanti nel settore della gestione e manutenzione degli apparecchi da gioco, oltre a 15 terreni ubicati in provincia di Arezzo, per un valore complessivamente stimato in circa 700 mila euro. La figura criminale dell’imprenditore Santo Furfaro era emersa nella retata “Galassia”, con cui sarebbe stato colpito e sgominato «un sofisticato ed altamente remunerativo sistema criminale, finalizzato all'illecita raccolta di scommesse on-line, attraverso importanti bookmakers esteri aventi sede in Austria e Malta, che avrebbero operato in rapporto sinallagmatico con la 'ndrangheta». Secondo le carte di indagine - ma si sono più tronconi processuali ad oggi non definiti - la ’ndrangheta avrebbe offerto «una sorta di “protezione ambientale” all’impresa di gaming, consentendo l’espansione sul territorio di punti di distribuzione e garantendo, con l’intimidazione, il recupero dei crediti di gioco. Di contro, la stessa organizzazione avrebbe ottenuto una contropartita monetaria, infiltrandosi nelle imprese, godendo di un canale privilegiato per la ripulitura del denaro sporco, lucrando sugli utili e inserendo propri esponenti nella rete commerciale territoriale». Proprio in questo contesto sarebbe emersa la figura dell’imprenditore oggi colpito nuovamente da misura patrimoniale: a suo carico l'ipotesi di accusa di essere tra i «capi, promotori ed organizzatori di un’associazione inserita nel sistema illecito». Indagine lunga e laboriosa nei confronti dell'imprenditore della Piana di Gioia Tauro, capace per gli inquirenti di “rigenerare” la propria attività attraverso una rete di ramificazioni aziendali, e continuato ad intrattenere rapporti commerciali, traendone profitti, con le società già finite sotto chiave. Accumulando un patrimonio «direttamente e indirettamente nella sua disponibilità», dal valore sproporzionato rispetto alla capacità reddituale manifestata e comunicata al Fisco.