Poche parole, profilo basso e bando alle millanterie. Regola spesso d'oro tra i saggi della ’ndrangheta, soprattutto dei capi e degli anziani che spesso ripetevano ai rampanti della cosca: mai pubblicizzare i benefici economici della militanza mafiosa né tantomeno ostentare la disponibilità di denaro, conquistato con l'arroganza dell'appartenenza mafiosa e a discapito di chi, direttamente o indirettamente, subiva lo strapotere di capi e gregari delle cosche. Una regola di comportamento che veniva spesso ripetuta tra gli esponenti delle ’ndrine di Scilla colpite dalla maxi operazione “Nuova linea”. Un dato emerso in Tribunale nel processo che ha ha portato a giudizio le generazioni moderne dell’asse di ’ndrangheta “Nasone-Gaietti”. All'aula bunker, il dibattimento è appena andato in pausa estiva dopo aver registrato numerose udienze, alla presenza del principale teste della Procura antimafia, il capitano Giovanbattista Marino, all'epoca dei fatti comandante della seconda sezione del Nucleo Investigativo del Comando provinciale Carabinieri di Reggio Calabria e deus ex machina della task-force investigativa di “Nuova linea”.
Intercettati dai segugi dei Carabinieri, gli indagati di Scilla commentavano tra di loro come non piacesse affatto lo stile borioso di esaltare un tenore di vita alto, con le tasche piene dei soldi del clan.
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