Riconosciuto ed accordato il principio della continuazione tra i reati commessi e per i quali è stato condannato in quattro sentenze, e la pena finale viene ridotta di 8 anni. Luciano Lo Giudice, 50 anni, uno dei vertici dell'omonimo clan di 'ndrangheta con base operativa nei quartieri Tremulini e Santa Caterina capeggiato dal fratello Nino Lo Giudice (adesso collaboratore di giustizia dopo le note vicissitudini personali compresa la scelta di pentirsi di essere diventato un pentito) e soprattutto la mente finanziaria del gruppo mafioso, sconterà 21 anni e 6 mesi diversamente dall'originario cumulo che gli gravava addosso: 29 anni e tre mesi.
Luciano Lo Giudice è stato difeso dagli avvocati Giacomo Iaria, Filippo Caccamo e Antonella Modaffari.
Il Gip di Reggio, Irene Giani, ha riconosciuto la continuazione tra i reati attribuitigli dalle quattro sentenze: il 13 marzo 2013 - 6 anni di reclusione - per due reati di usura aggravata (commessi dal gennaio 1997 e fino all'ottobre 2009) due fattispecie di esercizio abusivo del credito commesse ai danni di più persone (dal gennaio 1997 e fino all'ottobre 2009); un'ipotesi di estorsione aggravata (commessa dal gennaio 1997 fino all'ottobre 2009); nel processo “Do ut des” definitiva il 9 ottobre 2018 per associazione di stampo mafiosa (commesso sino al 3 aprile 2014) per quattro reati di detenzione di armi da sparo, un'ipotesi continuata di detenzione porto e ricettazione di ordigni esplosivi, un danneggiamento, una falsità ideologica continuata relativa a due denunce di detenzione armi, otto intestazioni fittizie di beni. Subendo 13 anni e 9 mesi di reclusione.
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