I novanta giorni di rito sono passati, così come gli altri 90 di proroga che sono stati richiesti dalla Corte d’appello. Nonostante ciò, le motivazioni alla sentenza di secondo grado del processo “Bucefalo” non sono state ancora emesse. Un ritardo che ha portato a una serie di rinvii anche nella parallela causa delle misure di prevenzione e alla prevedibile restituzione di beni che erano stati confiscati agli imputati. L’imputato principale del procedimento intentato dalla Procura antimafia di Reggio Calabria è Alfonso Annunziata, imprenditore campano da anni trapiantato a Gioia Tauro e accusato, fino all’assoluzione in appello, di essere l’imprenditore di riferimento della cosca Piromalli. Un’accusa che non solo lo ha portato in prigione, incriminato insieme a diversi membri della sua famiglia, ma anche a essere estromesso dalle sue aziende.
Per sette anni, tanto sono durati i due gradi di giudizio, Annunziata ha vissuto con il marchio infamante di essere un mafioso, una vergogna ben visibile sul suo volto, immortalato la mattina dell’arresto mentre usciva da casa tra due finanzieri. L’imprenditore ha trascorso quasi due anni in carcere e un altro agli arresti domiciliari.
La procura generale aveva chiesto la conferma della condanna a 12 anni che gli era stata comminata dal tribunale di Palmi. La Corte ha anche rigettato l’appello proposto dal pm in merito alle posizioni dei familiari di Annunziata (difesi dagli avvocati Armando Veneto e Giuseppe Macino): Fioravante Annunziata, Domenica Epifanio, Rosa Anna Annunziata, Valeria Annunziata, Marzia Annunziata e Carmelo Ambesi, Claudio Pontoriero, Roberta Bravetti, Rosina Zinnà e Andrea Bravetti, sono stati tutti assolti perché il fatto non sussiste, così come Annunziata.
Scopri di più nell’edizione digitale
Per leggere tutto acquista il quotidiano o scarica la versione digitale.
Caricamento commenti
Commenta la notizia