Scatta la revoca dell’autorizzazione unica ambientale (la cosiddetta AUA, documento autorizzativo che ingloba tutte le autorizzazioni ambientali necessarie per un’azienda) per l’imprenditore gioiese A.G., titolare di una ditta operante nel settore degli inerti, deferito all’autorità giudiziaria dai militari della Capitaneria di Porto di Gioia Tauro per reiterate e gravi violazioni in materia ambientale ma anche paesaggistica ed edilizia (il sito produttivo insiste su aree soggette ai relativi vincoli).
L’iter amministrativo che ha portato al provvedimento di revoca allo scarico prevista all’interno dell’AUA da parte dei funzionari della Città Metropolitana di Reggio Calabria è stato formalmente sollecitato dai militari per impedire all’impresa – rea di aver sversato scarichi industriali non depurati nel fiume Petrace – di reiterare in futuro condotte che rischierebbero di compromettere in materia irreversibile l’ambiente circostante.
Un risultato a tutela dell’habitat costiero e marino da ogni forma di minaccia antropogenica che giunge al termine di una lunga e complessa attività investigativa portata avanti dalla Capitaneria di Porto di Gioia Tauro, guidata dal capitano di fregata (CP) Martino Rendina, con il coordinamento della Procura della Repubblica di Palmi, diretta da Emanuele Crescenti, e la collaborazione del Gruppo della Guardia di Finanza di Gioia Tauro sugli aspetti afferenti alla documentazione contabile dell’azienda.
Indagine che, individuando un illecito, copioso e continuato sversamento, nell’alveo del fiume Petrace, di fanghi non depurati provenienti dal processo di lavaggio di inerti destinati alla produzione di calcestruzzo, ha di fatto determinato la chiusura dello stabilimento produttivo attivo da diversi anni e sito a pochi metri dall’alveo fluviale e in prossimità della foce del fiume Petrace.
Come si ricorderà, proprio per non incorrere nel pericolo di arrecare ulteriore e grave pregiudizio all’ambiente marino e costiero (le analisi di laboratorio svolte sui campioni prelevati dai militari hanno restituito valori di alluminio, ferro, rame e zinco, altamente al di sopra dei limiti tabellari previsti dalla normativa di settore), lo scorso mese di gennaio l’impianto era stato sequestrato e l’attività produttiva conseguentemente interrotta.
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