Per dieci udienze ha ripercorso, passo dopo passo e capitolo dopo capitolo, le numerose tematiche d’accusa contro capi e fiancheggiatori delle ’ndrine di Scilla, quasi tutti per il pool antimafia di Reggio riconducibili alle famiglie “Nasone-Gaietti”, che ha indagato nell'indagine “Nuova linea” da capo di una task force di segugi dell'Arma. Il capitano Giovanbattista Marino, all'epoca dell'attività investigativa comandante della seconda sezione del Nucleo investigativo del Comando provinciale Carabinieri di Reggio Calabria, ha concluso ieri in Tribunale l'infinito esame come testimone principale della Procura. Per l'ennesima udienza ha risposto al fuoco di fila di domande del Pubblico ministero Nicola De Caria, tratteggiando secondo il suo osservatorio i residui temi di indagine: nello specifico la presunta commistione della politica con esponenti delle cosche, le strategie degli emissari dei clan di condizionare la vita amministrativa del Comune e di alcuni amministratori pubblici nell'aggiudicazione di appalti e forniture beneficiando anche di una ipotetica corsia preferenziale nella concessione degli spazi demaniali per l'allestimento dei lidi balneari sulla spiaggia di Scilla, per turisti di tutto il mondo la “perla del Tirreno”.
Era stata già sviluppata ma è ritornata al centro del dibattimento una delle principali imputazioni di “Nuova linea”: il racket del pesce spada. Nei ristoranti di Scilla “il re del mare dello Stretto”, nei pochissimi mesi a cavallo della primavera e dell'estate in cui i pesce spada sono in transito proprio nel tratto di mare della Costa Viola, a Bagnara, a Scilla, Cannitello, Villa San Giovanni e Palmi, doveva essere acquistati solo da una ditta amica del clan e la prima scelta dei pescatori era monopolizzata dalla stessa ditta sotto la lente di ingrandimento della Dda.
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