Sono state rese note le motivazioni della sentenza di condanna in primo grado nel processo per la morte di Agostino Ascone. Per l’uccisione del trentasettenne imprenditore agricolo di Amato di Taurianova, sparito nel nulla il 27 dicembre 2021, la prima sezione della Corte d’Assise di Palmi, presieduta da Francesco Petrone, ha inflitto l’ergastolo a Ilaria Sturiale e Salvatore Antonio Figliuzzi, ex moglie della vittima e amante della donna, e 24 anni e 6 mesi di reclusione a Giuseppe Trapasso. Ai tre imputati sono stati riconosciuti, a vario titolo, i reati di omicidio in concorso, occultamento di cadavere, detenzione abusiva d’arma da fuoco e minacce. Comminata, inoltre, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, mentre il giudice ha dichiarato decaduta Ilaria Sturiale dalla responsabilità genitoriale. Risarcimenti, invece, sono stati riconosciuti alle parti civili: famigliari della vittima e Comuni di Rosarno e Taurianova. I termini per l’appello scadranno il prossimo mese di ottobre. Le motivazioni hanno dettagliato l’esito del percorso processuale terminato il 7 maggio. «All’esito dell’istruttoria dibattimentale – si legge – hanno trovato pressoché integrale riscontro le condotte in addebito. Le indagini, avviate dalla Compagnia Carabinieri di Taurianova e successivamente sviluppate dal Nucleo investigativo del Gruppo Carabinieri di Gioia Tauro, hanno disvelato che lo sfortunato Ascone Agostino era stato crudelmente ucciso da un uomo avvinto a sua moglie da una relazione sentimentale. Gli amanti, Figliuzzi Salvatore e Sturiale Ilaria, avevano ordito di attirarlo in un tranello, simulando che l’automobile del primo si fosse guastata, nel parcheggio di un ristorante sito in contrada Pegara di Taurianova. Figliuzzi, avvalendosi della complicità del computato Trapasso Giuseppe, aveva indotto Ascone a raggiungerlo per prestargli aiuto, per poi condurlo in Rosarno, all’interno del proprio garage, ove gli aveva sparato, provocandone la morte. Ne aveva, quindi, occultato il cadavere in un luogo sconosciuto, che mai aveva rivelato agli inquirenti, sebbene avesse, successivamente, attribuito a sé la paternità dell’omicidio. Durante le investigazioni se ne era individuata la scaturigine nell’avversione e nel profondo risentimento nutriti dalla Sturiale verso il marito ed i suoi familiari, nel desiderio del Figliuzzi di affrancarla dalla sofferenza arrecatale da quell’unione infelice e nel progetto, coltivato da entrambi, di intraprendere una convivenza ed ufficializzare il loro legame».