Uno scenario criminale, sostenuto con convinzione dalla Procura antimafia di Reggio, che incassa un’altra autorevole conferma: in tutta la Costa Viola, a Scilla soprattutto ma anche a Palmi, Bagnara e Favazzina, sconfinando a Villa San Giovanni e Cannitello verso lo Stretto e Sant'Eufemia scalando i primi pendii dell'Aspromonte tirrenico, si consumavano autentici affari d’oro con i traffici, e lo spaccio, di sostanze stupefacenti.
La cocaina che arrivava da Sinopoli grazie alle sinergie con i boss della droga che ruotavano attorno ai padrini della cosca Alvaro; e la marijuana che veniva prodotta praticamente in casa, nelle boscaglie dimenticate ed inaccessibili dell'Aspromonte. Un'accusa che trova nuova, e vigorosa, sostanza dalla sentenza della prima sezione penale della Corte d’Appello che ha giudicato capi e gregari dei clan della droga di Scilla, coinvolti nell'operazione “Lampetra”. Le quindici condanne (su quindici imputati), ma soprattutto le pene pesanti come un macigno - punte di 20 anni di reclusione - per chi teneva saldamente in pugno le redini della rete di pusher a Scilla consegna questa chiave di lettura.
Il “modus operandi” e le dinamiche criminali emersi dopo i due gradi di giudizio di “Lampetra” si intrecciano con gli esiti investigativi e processuali, ancora non definitivi ed in attesa del vaglio dei Giudici Supremi, inerenti le recenti indagini parallele del pool antimafia di Reggio: la condivisione di una precisa linea operativa antimafia, sradicare le ’ndrine da Scilla. Da “Nuova linea” al doppio colpo inferto con “Alba di Scilla”: in una manciata di anni proprio passando da questi blitz si è ridimensionato e depotenziato il ruolo e forza d’urto delle ’ndrine di Scilla. Che per gli analisti dell'antimafia sono «espressione o riconducibili ai Nasone-Gaietti», e coloro che decidevano tutto, dalle estorsioni a tappeto, i danneggiamenti intimidatori, le infiltrazioni nella gestione della Pubblica amministrazione, la conquista degli appalti pubblici, arrivando al racket del pesce spada.
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