Verità e giustizia a circa 50 anni dal tragico sequestro di persona? Con l’inizio di un altro processo – che segna, tra l’altro, l’apice e la chiusura di un’altra importante inchiesta – sarà possibile fare piena luce e magari chiudere definitivamente il cerchio su una delle pagine più nere della cronaca italiana: la drammatica morte di Cristina Mazzotti, la prima donna ad essere rapita nel Nord Italia dall’Anonima sequestri calabrese. La vittima del rapimento – ideato, organizzato e compiuto da persone ritenute affiliate o “vicine” ad alcune “famiglie”, trapiantate nel Nord Italia, della ’ndrangheta reggina – fu portata via da alcuni componenti della banda dei sequestratori e poi sottoposta ad una crudele prigionia. Il sequestro della 18enne studentessa, poi uccisa durante la prigionia a Castelletto Ticino, si verificò in Lombardia la sera del primo luglio del 1975 ad Eupilio, in provincia di Como, dove, appunto, la giovane stava rientrando a casa, nella villa di famiglia.
Dopo una lunga inchiesta, il gup di Milano, accogliendo appieno le richieste avanzate dalla Procura antimafia, ha rinviato a giudizio, nell’autunno scorso, ben quattro persone, tutte trapiantate nel Nord Italia ma con origini calabresi: Giuseppe Morabito, 79 anni, originario di Africo, ma residente in provincia di Varese (nulla a che fare, trattandosi solo omonimia, con il “capobastone” Giuseppe Morabito, alias “Tiradritto”, di Africo); Antonio Talia, 71enne originario di Africo ma residente da decenni nel Nord Italia; il reggino Demetrio Latella, 68 anni, trapiantato nel Novarese; il sanluchese Giuseppe Calabrò, 72 anni, alias “Dutturicchiu”, anch’egli residente da una vita in Lombardia e in passato in più di una occasione al centro di inchieste dei magistrati antimafia milanesi. L’inizio del processo a carico dei quattro è previsto per il 24 settembre presso la Corte d’assise di Como.
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