Il “cappello” della ’ndrangheta e l’ombra di Cosa nostra. Se l’inchiesta sugli ultrà milanesi ha acceso i riflettori sui legami (e gli interessi) del tifo criminale con le cosche calabresi, c’è anche una pista su eventuali collegamenti con le famiglie siciliane. Il sospetto intreccio ruota intorno a una delle figure chiave del fascicolo aperto dalla Dda milanese, già sfociato in 19 arresti: Giuseppe Caminiti, classe 1969 da Taurianova, sarebbe «uomo cardine del sistema illecito che ruota attorno allo stadio», sospettato fra l’altro della gestione in nero dei parcheggi, in virtù anche della protezione che - secondo gli inquirenti- gli avrebbe garantito il 74enne Giuseppe Calabrò, detto “il Fantasma” o “u Dutturicchiu” il quale, non indagato in quest’inchiesta, è a processo per il sequestro e la morte di Cristina Mazzotti nel 1975 e «vanta – annota la Dda milanese – legami familiari con diversi esponenti di alcune ’ndrine della provincia reggina».
Nelle intercettazioni di Caminiti c’è tutto un campionario di nomi e di “spettri” che si aggirano tra la Milano criminale, la Calabria e persino la Sicilia. «Tutto parte dalla montagna», dice il 55enne ascoltato dagli investigatori all’esordio di una sorta di lezione di storia criminale, lui che la Madonna di Polsi se l’è persino tatuata sulla pelle. È settembre del 2020, secondo gli inquirenti, quando «per testimoniare la propria vicinanza alla realtà mafiosa calabrese» Caminiti si tatua sul braccio «l’immagine della statua della Madonna di Polsi, simbolo notoriamente venerato dagli ’ndranghetisti». Ed è lui stesso a vantarsene facendo un video per gli amici: «La Madonna col Gesù bambino… quella del mio paese… di San Luca… tanta roba, eh. È da stamattina alle dieci che sono sotto! Ho finito alle sei, oggi tanto si è sofferto».
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