Le analisi genetico molecolari effettuate sul campione contenente «una traccia ematica sulla spalla destra della giacca in reperto, hanno permesso di ottenere un profilo genotipico riconducibile a un individuo ignoto di sesso maschile denominato “Soggetto A”», in relazione al quale per «quanto analizzato e alle informazioni deducibili dagli atti trasmessi, è verosimile ricondurre il profilo descritto alla vittima». È quanto scrivono i Carabinieri del Reparto Investigazioni Scientifiche Sezione di Biologia di Messina, nelle conclusioni della relazione tecnica depositata nell’ambito della riapertura dell’indagine sull’omicidio del brigadiere Carmine Tripodi, ucciso a San Luca il 6 febbraio del 1985, in cui aggiungono: «È opportuno precisare però che è possibile un’attribuzione scientificamente corretta, solo in presenza di un campione di confronto della vittima o di soggetti che con questa abbiano un rapporto di parentela di tipo verticale (padre/figlio-a o madre/figlia-o)». Inoltre, dalle analisi genetico molecolari effettuate su due campioni, vale a dire su una traccia salivare sulla spalla sinistra della giacca in reperto e su dei frammenti di nastro adesivo che sono stati «sottoposti a reiterate amplificazioni anche con diversi kit in commercio, hanno permesso di ottenere dei profili genotipici misti (ovvero formati dalla commistione di materiale genico riconducibile a più soggetti) denominati “Miscela 1” e “Miscela 2”. Tali assetti genotipici sono ritenuti utili per comparazioni in presenza di opportuni campioni biologici di confronto di certa riferibilità». In definitiva dal contenuto della relazione del Ris di Messina il sangue rinvenuto non è riconducibile ad alcuno dei 4 indagati ma sarebbe della vittima.