Roma era stato un banco di prova, ma i Mazzaferro sarebbero stati pronti a riproporre lo stesso schema fraudolento anche in altre regioni italiane. Di questo sono sicuri gli uomini della Dda di Roma che hanno avallato la ricostruzione effettuata sul campo dai finanzieri del Gico e hanno dato il via all’operazione contro il potente clan dei gioiosani. Cosca pronte «a ricorrere a nuovi meccanismi societari e operazioni finanziarie» che permettessero al gruppo di continuare ad arricchirsi con il business «dei carburanti per autoveicoli». È proprio da una corposa informativa delle Fiamme gialle del febbraio di due anni fa prende il via l’inchiesta della procura capitolina. Nel mirino della Gdf c’è l’imprenditore romano Alessandro Toppi in rapporti d’affari, per il commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi, con alcuni calabresi. E dalle intercettazioni dispose dagli inquirenti a Toppi emergerebbero «le fitte trame di relazioni nel comparto petrolifero con esponenti calabresi come Vincenzo Mazzaferro (classe 1971), il figlio Salvatore Mazzaferro (classe 1997) e Nicolò Sfara (classe 1994), quest’ultimo legato ai primi due da vincoli di sangue… operativi nella Capitale sul mercato dei prodotti petroliferi, grazie alla complicità di una pluralità di soggetti e l’utilizzo di società cartiere e di comodo». Secondo quanto emerge dall’inchiesta, gli indagati calabresi sarebbero stati «impegnati per la sistematica commissione di attività illecite» per mezzo delle loro «attività economiche». Tra queste attività sarebbe «di fatto riconducibile a Nicolò Sfara e al gruppo Mazzaferro, almeno fino alla data del 20 marzo 2019».