Vertice degli investigatori negli uffici della Procura di Locri e indagini a 360 gradi, vista la delicatezza e l’importanza dell’inchiesta di San Luca, dietro la quale aleggiano già da giorni ombre sinistre e inquietanti. Mentre si resta in attesa dell’esame del Dna sui piccoli resti carbonizzati di frammenti ossei (con molto probabilità di natura umana anche se si è ancora in attesa di conferme ufficiali), rinvenuti all’interno del fuoristrada totalmente distrutto dal fuoco di Antonio Strangio e degli altri accertamenti tecnici che saranno effettuati dai carabinieri del Ris di Messina e dai carabinieri del Gruppo di Locri e della Compagnia di Bianco, che dovranno chiarire dubbi, incertezze e interrogativi che ancora ruotano e avvolgono la vicenda. Di Strangio, 42 anni, allevatore e imprenditore agricolo, sposato e padre di quattro figli, tutti minorenni, noto alle forze dell’ordine ma mai implicato in inchieste o vicende di mafia, non si hanno notizie da oltre una settimana. Una vicenda che ha cominciato a prendere forma lunedì scorso, quando i carabinieri hanno rinvenuto, completamente distrutto da un incendio chiaramente doloso, il fuoristrada di proprietà dell’uomo. Il mezzo è stato trovato in una zona di campagna isolata, tra i confini territoriali dei comuni di Bovalino e San Luca e in prossimità della fiumara Bonamico. All’interno del veicolo carbonizzato dal gigantesco rogo, gli investigatori hanno rinvenuto alcuni frammenti ossei di provenienza, si è scoperto col passare dei giorni, umana e non animale come era stato invece ipotizzato nelle ore immediatamente successive al ritrovamento. Nella tarda mattinata di ieri, per cercare di cominciare a mettere ordine al mosaico investigativo, in attesa dei risultati delle analisi e degli altri accertamenti, negli uffici della Procura di Locri si è svolto un vertice tra il sostituto procuratore Rosa Maria Pantano, titolare dell’inchiesta, e gli investigatori dei carabinieri del Gruppo di Locri e della Compagnia di Bianco. Sul vertice non è ovviamente trapelato nulla ma la preoccupazione c’è anche tra gli inquirenti. Dell’imprenditore agricolo e allevatore sanluchese Antonio Strangio si sa che è figlio del settantenne Giuseppe Strangio, elemento, secondo gli inquirenti, di primo piano della “famiglia” di ‘ndrangheta riconducibile agli Strangio “Barbari”. Un ceppo familiare, questo, ben distinto dalla famiglia Strangio “Janchi” storicamente alleata al clan Nirta “Versu”. Giuseppe Strangio, 35 anni fa, fu uno degli uomini della banda di sequestratori che a Pavia rapirono il giovane Cesare Casella,, liberato, dopo 743 giorni di prigionia a gennaio del 1990.