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Gioia Tauro, i retroscena nei verbali del pentito Ficarra: "La cosca impaurita e isolata dopo il delitto del boss Molè"

Il collaboratore di giustizia ricorda il timore all'interno della cosca in quei giorni carichi di tensione «La città era una tomba, non si usciva più»

Non si capiva da chi fosse partito il colpo, chi avesse autorizzato l'omicidio eccellente, da chi si dovessero difendere. I giorni successivi alla morte di Rocco Molè furono frenetici e carichi di tensione all'interno della famiglia di 'ndrangheta di Gioia Tauro. I particolari di quelle settimane sono state raccontate dal pentito Domenico Ficarra durante gli interrogatori davanti ai magistrati delle procure antimafia di Reggio Calabria e Milano.

Ficarra, secondo il suo racconto, si trovava nella città del porto in quel periodo e avrebbe partecipato a diverse riunioni a casa Molè insieme ai fedelissimi del clan. Un periodo che si concluse con la grande fuga a Roma decisa dal carcere dal boss ergastolano Girolamo “Mommo” Molè.

Già prima dell'1 febbraio 2008, data dell'omicidio, la cosca Molè stata attraversando un lungo momento di fibrillazioni interne dovute al malessere di Domenico Stanganelli nei confronti di Rocco Molè. Questi, dopo la sua scarcerazione, aveva assunto il comando del clan grazie all'investitura di suo fratello, Mommo Molè. Fino a quel momento quel ruolo era stato ricoperto dal nipote, Domenico Stanganelli, che avrebbe preso male la sostituzione al vertice. La morte di Rocco Molè, però, lo riportò al comando della cosca e subito si sarebbe attivato per coprire chi avesse ucciso suo zio.

«Erano... per un mesetto, un mesetto e mezzo … - dichiara Ficarra - successe che Domenico Stanganelli si recava dai Piromalli per chiedere risposta, avere una risposta chi era stato a uccidere sui zio... Andava lui perché dopo la morte di Rocco Molè ha preso il dominio lui, io queste cose le so perché ero lì, nel senso di quello che ho visto... quello che dicevano alle riunioni lì, che erano tutti insieme Domenico Stanganelli, Antonio Stanganelli, Mommino Albanese, Politu u favazza, Davide Cambrea, eh c'era un sacco di gente».

Ficarra ricorda il timore all'interno della cosca in quei giorni carichi di tensione. «Sì io c'ero... - spiega ai magistrati - dentro casa, non si usciva più, a Gioia Tauro c'era... una tomba, per i primi … io parlo dei primi giorni, dopo la morte, una settimana, dieci giorni... una tomba... non si sapeva niente, e lui (Domenico Stanganelli ndr) mandava imbasciate tramite Davide Cambrea (il 37enne ucciso a Gioia Tauro nel luglio 2008 nell'ambito della faida, ndr) o tramite un altro personaggio».

Intanto, gli affiliati ai Piromalli avrebbero agito per chiarire chi stesse con loro o con i Molè. «Vincenzo Priolo – aggiunge Ficarra - dopo che è morto Rocco Molè mi vide... che parlavo normalmente... e lui... dopo questa conversazione mi chiamò e mi disse: “O con me o sennò... ve ne dovete andare da Gioia Tauro. Con lui ho avuto un rapporto di amicizia... dalla nascita... mi ha detto in questo modo e io acconsentì: “Sì non ti preoccupare, io me ne frego di loro” dovevo giustificarmi, io vivevo a Milano, non vivevo con Enzo Priolo, dopo un anno l'hanno ucciso ed è finito il film... Se fosse rimasto in vita ci sarebbero stati problemi molto, molto gravi anche per noi che non ci potevamo avvicinare».

La fuga dal clan e la nuova alleanza

Secondo quando sostenuto da Ficarra, in quel periodo storico di grandi cambiamenti all’interno del panorama criminale di Gioia Tauro, diverse famiglie da sempre legate alla cosca Molè passarono con i Piromalli.
«Poi però – chiede il pm al collaboratore di giustizia – c'è stata questa rottura tra i Molè e i Piromalli... al di là dei familiari stretti, tutti gli altri dovevano prendere posizioni con gli uni o con gli altri? Cioè dico, di quello che era un unico sodalizio, poi diventano due cosche separate?». La risposta del pentito è positiva, ma i nomi di quelle famiglie sono coperti da omissis.
Ci sarebbe stato, però, anche chi negli anni successivi si era unito ai Molè dopo il loro ritorno a Gioia Tauro. Ficarra spiega che tra questi c’erano i Brandimarte, assurti agli onori della cronaca subito dopo la faida tra i Molè ed i Piromalli soprattutto perché legati ai traffici di droga al porto di Gioia Tauro. Prima, afferma, «non c'era nessuno dei Brandimarte, e poi i Brandimarte con i Molè si erano uniti... negli anni quando c'era Nino Molè (figlio di Mommo detto u niru, ndr) fuori, frequentava sempre la casa di Alfonso Brandimarte, si era unito con Alfonso Brandimarte. Prima del 2014, 2013... Andavo a Gioia Tauro e lo vedevo a casa sua a Monacelli lì dove hanno la villa Mommo Molè quando andava questo Alfonso Brandimarte... però non parlavano mai davanti a me».
«Quando sono usciti ha preso in mano tutti Nino u niru, poi è stato... sono stati arrestati tutti, è uscito Rocco, piano piano, da Torino, che era in una scuola, non so dove, nel 2019 io ho rivisto Rocco Molè di persona, io non l'avevo più visto, l'ho visto a maggio, giugno 2019, si presentarono a casa di mio nonno a Milano con mio fratello Simone Ficarra, quindi si sono presentati qua che volevano fare i soldi».

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