Un agguato a colpi di lupara. Così, è emerso dalle indagini dei carabinieri e dai risultati dell’esame autoptico, è stato assassinato Giancarlo Polifroni, 50 anni. L’omicidio, come si ricorderà, si è verificato a Bovalino la sera del 9 gennaio scorso. Un delitto di chiaro stampo ‘ndranghetista, considerate le modalità dell’agguato e l’arma utilizzata dal sicario. La “missione di morte” portata a termine con spietatezza e determinazione è stata compiuta in una traversa buia e isolata specialmente nelle ore serali, di via Dromo. Polifroni è stato freddato mentre era girato di spalle rispetto al sua assassino, davanti alla propria abitazione. Almeno due, forse anche tre, i colpi di fucile da caccia (e non di pistola di grosso calibro come in un primo momento era stato ipotizzato) caricato a pallettoni esplosi, da una distanza di massimo 8-10 metri, dal killer appostato nelle vicinanze dell’abitazione della vittima.
Un agguato in piena regola che non ha dato, praticamente, scampo al 50enne di Bovalino, sposato e padre di tre figli. Diversi pallettoni, non meno di 8-9, l’hanno centrato al collo, nella parte alta della schiena e a una gamba. Il decesso è stato pressoché istantaneo.
La vittima, con un passato personale e giudiziario “pesante”, era agli arresti domiciliari da alcuni mesi dopo diversi anni trascorsi in carcere. Da qualche di giorni, però, aveva ottenuto, a seguito di una regolare richiesta presentata all’autorità giudiziaria competente dal suo legale di fiducia, il permesso di uscire di casa, per alcune ore, sia al mattino, sia nel pomeriggio, per andare a lavorare in un esercizio commerciale di Bovalino di proprietà di un congiunto. Chi, quindi, aveva pianificato, portandolo poi a termine, l’agguato mortale, era ovviamente a conoscenza dei suoi movimenti. Ha atteso, al rientro serale, l’arrivo a casa di Polifroni prima di entrate in azione e portare a termine la sua missione di morte.
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