«Quella della cosca Pesce è una lunga storia giudiziaria che affonda le sue radici nel passato e che è proseguita - senza soluzione di continuità - sino ai giorni nostri». È uno dei passaggi con i quali la Corte d’appello di Reggio Calabria fotografa, all’interno delle motivazioni alla sentenza nel processo “Handover”, la forza operativa nel corso dei decenni del potente clan di Rosarno. Nell’ottobre scorso, i giudici di piazza Castello hanno inflitto 23 condanne e assolto sei imputati che erano stati ritenuti colpevoli in primo grado.
La pericolosità della cosca Pesce è certificata, fa notare la Corte d’appello, dalla lunga serie di sentenze che dagli anni ’80 hanno coinvolto il clan, guidato fino alla sua morte dallo storico boss Giuseppe (detto don Peppino) classe ’23: dal “Mafia delle tre province” fino a quello degli ultimi anni che hanno decapitato il clan Rosarnese. «Il sodalizio – si legge nelle motivazioni - non ha mai smesso di operare ed, anzi, è riuscito a trovare nuova linfa vitale, da un lato mediante una ricollocazione di ruolo dei componenti storici della compagine, dall’altro rimpinguando la compagine attraverso l’inserimento di nuovi accoliti».
In questa nuova fase della vita criminale della famiglia di ‘ndrangheta di Rosarno assurgono a un ruolo di primo piano i cugini Antonino Pesce, classe ’92 e ’93, condannati entrambi a 20 anni di reclusione.
Scopri di più nell’edizione digitale
Per leggere tutto acquista il quotidiano o scarica la versione digitale.
Caricamento commenti
Commenta la notizia