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Reggio: «Gli imprenditori Remo? Né collusi né concorrenti esterni alla mafia»

Le motivazioni della sentenza di assoluzione della Corte d’Appello. «Le condotte di concorrenza sleale tramite una sistematica azione di dissuasione della clientela» già escluse nel precedente processo

Esclusi i reati di concorrenza sleale ed estorsione con l'aggravante mafiosa già nel primo processo d'appello (sentenza del 20 settembre 2019) ed azzerato il concorso esterno in associazione mafiosa nell'appello-bis nato dall'annullamento dei Giudici supremi (sentenza del 1 novembre 2024 su rinvio della Cassazione del 24 novembre 2021): in due fasi, dopo l'eternità di undici anni vissuti sulla graticola giudiziaria, ma è stata assoluzione piena per i fratelli Giovanni e Pasquale Remo, gli imprenditori del quartiere Gebbione tra i più attivi ed affermati in città (almeno fino all'estate 2003 quando furono travolti dall'inchiesta giudiziaria) nel settore del commercio all'ingrosso e al dettaglio di carni, pollame ed altri prodotti alimentari di derivazione animale.

La Corte d'Appello ha adesso reso noti i motivi per cui va esclusa ogni ipotesi di contiguità mafiosa dei fratelli imprenditori con i vertici della ’ndrina di Gebbione, i Labate. Che era il cuore dell’accusa. Per l’ex vicepresidente della Reggina ai tempi d’oro dei nove campionati di cacio in serie A, Giovanni Remo (difeso dall'avvocato Antonino Curatola) e Pasquale Remo (difeso dagli avvocati Francesco Albanese e Francesco Calabrese) assoluzione con formula ampia: «perchè il fatto non sussiste».

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