![Mimmo Lucano](https://assets.gazzettadelsud.it/2025/02/Mimmo-Lucano-alla-Sapienza-68-379x505-1-800x800.jpeg)
T ira sempre una brutta aria per quelli come Mimmo Lucano, e lui lo sa. Anche adesso che è definitivamente libero. Sotto un governo mai tanto ostile a tutto il suo mondo e a ciò che questo mondo rappresenta, la sentenza della Cassazione (che ha chiuso quella che lui stesso ha definito «un’esperienza di militanza politica») ha cristallizzato come verità il fatto che il modello Riace non è mai stato un’organizzazione criminale. Perché era, ed è, proprio quello che appare: un esempio partito dal basso, giustamente assurto a simbolo mondiale, di accoglienza e di umanità.
Onorevole sindaco Lucano: ora che è scampato in via definitiva a 13 anni di galera è passata la paura o ne ha ancora?
«No, non ho paura. Anzi sì, una paura ce l’ho. Ma riguarda la sfera morale. Vedi, io non avevo accumulato ricchezza né niente, ora l’Unione Europea mi paga benissimo, un’indennità spropositata. Mi sento a disagio».
Lei è un parlamentare, ricopre un’altissima carica elettiva che la tutela e dà forza alla sua voce, e al messaggio di cui è portatore. Non crede che la paghino il giusto?
«Non so, intanto ho destinato una parte della mia indennità alla continuazione dell'accoglienza di Riace, senza gravare sui conti pubblici. L’obiettivo è reinserire il Comune nei progetti Sprar e nel Sistema d’accoglienza, da cui siamo stati estromessi dal ministro Salvini nel 2018, e la precedente Amministrazione non ha mai chiesto il reinserimento e né hafatto ricorso. Poi però il Tar prima e il Consiglio di Stato dopo ci hanno dato ragione. L’accoglienza non poteva essere chiusa».
Resta la domanda principale: perché è successo tutto questo? All’indomani della sua assoluzione in appello, era ottobre 2023, lei su queste colonne ci ricordò il suo primo avvocato, lo scomparso Antonio Mazzone, non certo un uomo di sinistra, precisò, il quale le fece capire che quel che stava dietro la sua vicenda fosse un che di indicibile, interessi fortissimi, molto più grandi di lei e di Riace. Possiamo svelare qualcosa ora?
«No, non voglio. Era un’idea sua, tengo questo segreto per il rispetto che ho per lui, per il suo ricordo. Vedi, la mia non era per lui una causa come tante. Mi ricordo che quando andavo nel suo studio, a Locri, lui fermava tutto, mi faceva entrare subito, rimandava ogni cosa. Era emotivamente coinvolto, per lui la mia causa era schierarsi dalla parte della giustizia. È stato lui a cercarmi del resto, aveva fiducia in me, come poi l’ha avuta il suo collega Andrea Daqua, che ha continuato a seguirmi accanto a Giuliano Pisapia».
Il caso Riace si sgonfia e il caso Almasri scuote poco il governo e molto, moltissimo, le coscienze di chiunque creda nei suoi e nei nostri valori. Le ripeto la domanda, allargandola: dobbiamo avere paura?
«Il caso Almasri mi ha fatto capire che quello che mi spaventa non è il torturatore con le mani sporche di sangue lasciato libero di tornare al suo paese, ma è come il governo italiano abbia potuto fare accordi con queste persone, con un regime che tortura la gente e stupra i bambini. Perché io queste cose le ho ascoltate dalle persone che li hanno subiti, questi orrori. Ti dico una cosa, e mi assumo la responsabilità di quello che dico: il caso Riace nasce nello stesso periodo dell'accordo tra Italia e Libia, il famigerato “Memorandum” sul contrasto all’immigrazione clandestina stipulato nel 2017. Un accordo il cui senso si è oggi perfettamente compreso: contrastare i flussi migratori, e far rimanere le persone nei lager libici. Così il clima che si crea non è di sicurezza, ma di odio».
(Alla firma di quell’accordo, che risale al febbraio 2017, lo ricordiamo, alla guida del governo di centrosinistra c’era Paolo Gentiloni e il ministro dell’Interno che condusse le trattative era il calabrese Marco Minniti. L’arresto di Lucano e lo scoppio del caso Riace datano 2 ottobre 2018 ma fu proprio con Minniti al Viminale che nei primi mesi del 2017 gli ispettori della Prefettura di Reggio Calabria cominciarono a interessarsi della gestione dei migranti all’interno dei progetti attivati dal Comune di Riace – a leggere le cronache del tempo con pochi e irrilevanti risultati in termini di irregolarità rilevate e non pochi malcelati e quasi stupefatti elogi per il coraggio e la pervicacia dell’azione portata avanti, fatti chiaramente emergere nelle loro relazioni – allora come oggi governato da Mimmo Lucano, ndr).
Insomma, come il suo primo avvocato aveva intuito, il fastidio su Riace è di vecchia data.
«Non era certo questo che nel 2001 nel santuario dei santi Cosma e Damiano io, il vescovo Giancarlo Bregantini e la Croce Rossa avevano immaginato, condividendo questo sogno di fratellanza. Ed è un sogno che nel tempo ha suscitato paura e preoccupazione in chi ne ha voluto dare sempre di più una narrazione criminale, a proposito di un’invasione mai esistita. Riace racconta una storia diversa. Chi arriva non è colpevole, e i viaggi della speranza sono l’unica soluzione, perché da essi dipende la pura e semplice sopravvivenza»
In questi anni trascorsi con lei sotto processo, il modello Riace è stato replicato in Calabria? Penso, in provincia di Reggio a realtà molto piccole come Camini e Benestare, o anche a centri più importanti come Gioiosa Jonica, Melito Porto Salvo, Cittanova e Taurianova.
«Sì, i progetti ci sono e vanno avanti ma non c'è il coinvolgimento delle comunità. A Riace era diverso, il nostro centro storico grazie ai migranti è rinato, abbiamo ricostruito asili, scuole e servizi sociali. E poi sono venute le cose che ci hanno fatto decollare, il cortometraggio di Wim Wenders, il servizio di “Fortune” e la fiction della Rai con Beppe Fiorello che non è andata in onda, ovviamente».
Sindaco Lucano, a Riace il villaggio globale esiste ancora? Cosa ha in cantiere per il futuro?
«Intanto abbiamo fatto richiesta di rientrare nello Sprar, e portiamo avanti il sogno dell'acqua come bene pubblico. Nel villaggio globale ci sono 20 bambini, i migranti saranno una cinquantina, arrivano qui di loro spontanea volontà. Ma la mission continua. Vedi, viviamo in una terra in cui riceviamo un'educazione diversa dal resto d’Italia, specie nelle aree interne. Mi ricordo che per la festa di San Damiano, i rom venivano a casa nostra, e mia mamma era felice. Qui non abbiamo chiavi alle porte, accogliamo tutti. Ed io come come sindaco mi sono portato dietro questo retaggio culturale: da noi, molto semplicemente è normale non girarsi dall'altra parte. La Calabria è, e lo dico con orgoglio, una terra di accoglienza. Altri atteggiamenti appartengono ad altre latitudini, non a noi. Ed è questo che voglio portare in Europa, perché la mia non può essere l'Europa dei campi di concentramento. E se lo è, l’Europa rinnega se stessa».
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