Cosche di Reggio Calabria, era sufficiente la militanza mafiosa per imporre la legge dell’estorsione
Con il ruolo di capiclan o gregari che vantassero, da esponenti di vertice o emissari delle ’ndrine che fossero, erano pacificamente conosciuti e temuti per la loro militanza mafiosa. Perché facilmente identificabili come espressione delle principali cosche di ’ndrangheta del mandamento “Città”, indagate e colpite dall'inchiesta della Procura distrettuale antimafia “Epicentro”. Proprio per questa valutazione, come si legge nei motivi della sentenza d'appello “Epicentro”, i Giudici di piazza Castello hanno confermato l’aggravante mafiosa «contestata con riferimento ai reati fine». All'imposizione estorsiva soprattutto: «L’aggravante di cui all’art. 416-bis è stata riconosciuta in primo grado con riferimento a tutti gli episodi di estorsione consumata e tentata oggetto di contestazione. Secondo la ricostruzione dei fatti sopra effettuata, in tutti i casi gli agenti hanno sfruttato la forza di intimidazione derivante dalla loro appartenenza alle associazioni mafiose che controllavano il territorio. Per questa ragione, nella quasi totalità dei casi, essi non hanno mai avuto bisogno di effettuare minacce esplicite o di dare corso ad atti intimidatori. Gli estorti, infatti, a fronte della semplice richiesta, hanno subito riconosciuto un’offerta di protezione mafiosa, nel senso che, con il pagamento della tangente, le loro imprese sarebbero state preservate da furti, danneggiamenti e quant’altro.