
Vent’anni e mezzo. Tanto è il tempo trascorso da quella notte orribile del 17 settembre 2004, la notte dell’omicidio di Massimiliano Carbone, ragazzo di Locri. La lunga e inesausta battaglia per la verità della mamma, la maestra Liliana, da allora arrossisce guance e scuote coscienze.
Di suo figlio e del perché fosse morto, Liliana Carbone ci disse tutto, da subito. Verità indicibili, prima confidenziali, poi via via consegnate per la pubblicazione a noi, spesso per primi, e poi agli altri e al mondo. Ma chi ha conosciuto la maestra Liliana sa quanto è grande il suo, di mondo.
Anno dopo anno, la sua narrazione angosciosa ma lucidissima, il flusso frenetico di verbali, di referti anche atroci e documenti inutilmente incriminanti, si è diluito in conversazioni di ogni genere, in cui la madre con la foto del figlio morto perennemente al collo è riuscita a cedere un po’ di spazio alla donna ironica, colta e raffinata che è. E così, alle mille declinazioni del pasoliniano “Io so ma non ho le prove” corretto in “Ho le prove ma non vogliono vederle”, si alternavano lunghe e belle discussioni su libri, tanti libri, ma soprattutto musica classica. L’amato barocco, prima di tutto, il mondo dell’opera, e il genio assoluto, l’amatissimo Mozart.
Era un ragazzo in gamba, Massimiliano Carbone, imprenditore a neanche trent’anni, con la sua ben avviata agenzia di cartellonistica pubblicitaria. Amava il suo lavoro, amava la vita e amava il figlio aveva avuto da una donna, sposata a un altro. Sognava – s’illudeva – una vita con loro due, ma un sicario lo ammazzò sotto casa, a lupara. Killer sconosciuto, mandanti non ne parliamo, giustizia negata. Da vent’anni e sei mesi Liliana racconta maldicenze miserabili, sconcertanti incapacità investigative, reticenti omertà e spaventosi depistaggi. Su giustizia e verità calata ormai la mannaia dell’archiviazione, le resta un cruccio: Alessandro, suo nipote.
Il Tribunale civile di Locri nel 2013 e nel 2019 la Corte d’appello di Reggio Calabria hanno dichiarato con sentenza definitiva che quel ragazzo, che oggi studia all’università, è figlio di Massimiliano Carbone. Nelle stesse sentenze si ordina di apporre l’annotazione – prescritta dalla legge – nello stato civile del Comune di Locri. Non si consiglia, non si suggerisce: si ordina. La compianta Adriana Bartolo, avvocata di Liliana, ci ha speso gli ultimi anni di vita, a cercare di ottenerla, l’annotazione. Invano: quella sorta di perverso moloch istituzionale che evidentemente grava su Locri l’ha sempre respinta.
Da più di vent’anni con Liliana si parla, di tutto. Della bara di Massimiliano, violata per un inutile Dna, che certificò quello che tutti sapevano. E di Mozart, anche lui morto ragazzo ma senza una tomba che lo ricordi. E il convitato di pietra del Don Giovanni, il moloch della morale borghese, che decide della vita e della morte, esiste da sempre, ed è sempre tra noi.

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