
Periferie estreme, comuni eternamente commissariati perché ritenuti impossibilitati ad autodeterminarsi. Luoghi in cui chi comanda è la ’ndrangheta. Luoghi come San Luca. Luoghi senza voce, in cui nessuno può fare il sindaco (l’ultimo l’hanno commissariato a fine mandato, e già era stato un miracolo trovarlo) e comprensibilmente nessuno ha più voglia di farlo. Luoghi in cui, quasi inutile dirlo, il lavoro è quasi un miraggio. Noi le ascoltammo pochi anni fa, sul posto, in Aspromonte, le voci di un gruppo di operai forestali dai nomi arcinoti, Nirta, Strangio, Pelle, Romeo, Vottari. «A San Luca nessuno può aprire un’attività. – ci dissero – Se la Regione o la Città Metropolitana aprono un cantiere sapete quanti sanluchesi ci lavorano? Nessuno. Le interdittive antimafia colpiscono tutti. Basta dire il nome e siete fuori, nessuno vi vuole. Non pensate voi che tutti dovrebbero avere una possibilità? Perché un ragazzo di San Luca non può guadagnarsi i cinquanta euro a fine giornata, e avere una vita dignitosa?».
Già, perché? Di giovani calabresi nati in territori di ’ndrangheta ne sa forse più di tutti Roberto di Bella, ex magistrato del Tribunale dei minori di Reggio Calabria, ora in servizio a Catania. Il suo protocollo “Liberi di scegliere” continua ad assicurare a molti di loro (oltre 150 finora, di cui 30 accompagnati dalle madri) la possibilità di una vita migliore, lontani dalla Calabria, e dalle loro famiglie mafiose.
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