Reggio

Martedì 13 Maggio 2025

'Ndrangheta, i Labate e il controllo di Reggio Calabria. Quel "ti mangiu" che fa paura

Il boss Pietro Labate

Negli ambienti della 'ndrangheta, e anche a Reggio Calabria e provincia, Antonino (75 anni), Pietro (74 anni, il più carismatico, posto ai domiciliari da qualche giorno per gravi problemi di salute), Michele (69 anni) e Franco Labate (58 anni), sono noti con il soprannome di "ti mangiu". Un appellativo che ben definisce il profilo criminale dei quattro fratelli, la cui "famiglia" domina gli affari, legali e illegali, da quasi un secolo nella periferia Sud di Reggio Calabria. Secondo le indagini, il locale (unità verticale territoriale su cui predominano le singole cosche) dei Labate è intelaiato nella spartizione del territorio sullo schema dei cardi romani - da Nord verso Sud - a partire dalla sponda Est del torrente Calopinace, fino a toccare la rete di recinzione dell’aeroporto dello Stretto: viale Galileo Galilei, con prosecuzione naturale sul viale Aldo Moro, viale Calabria e via Sbarre Centrali - i cardi, appunto - concludono il loro sviluppo lineare a ridosso del torrente Sant'Agata, limite Nord dell’area aeroportuale. I Labate sono già noti fin dagli anni '30 del Novecento alle cronache giudiziarie, e come altri esponenti della 'ndrangheta reggina - fino agli anni '50 - si interessano essenzialmente di allevamento e commercio di bestiame, estorsioni, guardiania abusiva ai terreni agricoli, abigeato e macellazione clandestina. Un cluster di reati che, però, viene radicalmente sostituito dalla veloce trasformazione del loro territorio di competenza: nel 1960 apre i battenti Omeca (ex Ansaldo Breda, oggi Hitachi Rail, che occupa circa seicento addetti), inizia l’assalto dell’abusivismo edilizio ai terreni agricoli, sorge un intero quartiere - il "Gebbione" - di case popolari. L’attività economica febbrile, l’apertura di piccole imprese commerciali e di servizio, spianano la strada alle opportunità di 'modernizzazionè del clan Labate. Lungo i tre cardi, è un fiorire continuo di cantieri edili, di bar, ristoranti, macellerie, attività artigianali, innesco ideale per far crescere le casse della 'ndrangheta, che ben presto mette le mani dentro ogni attività, con richieste preventive di tangenti e proposte di 'fare societa» con persone legate ai suoi esponenti. Antonino, Pietro, Michele e Franco Labate - come affermano gli inquirenti - adottano un controllo del territorio in maniera asfissiante, muovendosi con intelligenza e fermezza nel groviglio dei precari equilibri del 'mandamento Reggio centrò della 'ndrangheta: evitano, soprattutto, di farsi coinvolgere nella guerra di 'ndrangheta degli anni '80 tra il 'cartellò capeggiato dai De Stefano-Tegano-Libri-Latella, avversato dalle 'famigliè Condello-Imerti-Serraino, che lascerà lunghe le strade di Reggio Calabria e della sua provincia - dal 10 ottobre del 1985, data dell’uccisione del boss Paolo De Stefano, al 9 agosto 1991, data dell’omicidio del giudice Antonino Scopelliti - circa mille morti ammazzati. Un non-allineamento, questo, che spingerà in alto il potere economico e il prestigio criminale dei Labate che - come afferma il procuratore facente funzioni Giuseppe Lombardo - trasformerà il 'Gebbionè nell’area imprenditoriale più ricca di Reggio Calabria.

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