
E’ salito a 20 il numero degli indagati per l’omicidio del giudice Antonino Scopelliti. Oltre ai primi 17 ai quali fu notificato l’avviso di garanzia nel 2019 quando la Dda di Reggio Calabria aveva ritrovato il fucile grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Avola, sono indagati adesso anche altri esponenti di primo piano della 'ndrangheta della provincia reggina: Pasquale Condello, Giuseppe De Stefano, Giuseppe Morabito, Luigi Mancuso, Giuseppe Zito ed il boss delle cosche «milanesi» Franco Coco Trovato.
I nuovi nomi sono contenuti nel decreto di perquisizione eseguito nelle settimane scorse dalla Squadra mobile a Messina. Tra i nomi indicati nel documento, che anche quello del boss catanese Nitto Santapaola nei confronti del quale, però, «non si può procedere perché già assolto per l’omicidio Scopelliti».
Nell’inchiesta risultano indagati anche alcuni boss che nel frattempo sono deceduti, Matteo Messina Denaro, Giovanni Tegano e Francesco Romeo.
Nel provvedimento, firmato dal procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo e dal sostituto della Dda Sara Parezzan, c'è ancora Matteo Messina Denaro che, stando alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Avola, avrebbe partecipato alla fase esecutiva del delitto che sarebbe stato deciso «nel corso di una riunione svoltasi a Trapani nella primavera del 1991».
Secondo i pm, «il mandato omicidiario proveniva direttamente da Totò Riina» che ha incaricato Messina Denaro il quale, a sua volta, «riceveva le informazioni operative relative alle abitudini di vita del magistrato da Salvo Lima», l'europarlamentare della Dc ucciso in un agguato a Palermo il 12 marzo 1992. Il boss di Castelvetrano, infine, stando alla ricostruzione della Procura, avrebbe curato «i contatti con un informatore locale rimasto ignoto che avvisava il gruppo incaricato dell’omicidio in ordine agli spostamenti del magistrato».
A premere il grilletto della lupara calibro 12 di fabbricazione spagnola quel pomeriggio del 9 agosto 1991, nei pressi di Campo Calabra, contro il magistrato Antonino Scopelliti, fu Vincenzo Salvatore Santapaola, figlio del boss Nitto Santapaola. A questa conclusione sono giunti gli investigatori reggini della Procura distrettuale coordinati dal Giuseppe Lombardo, e i segugi della Squadra mobile e dell’Anticrimine, che hanno valorizzato la testimonianza del pentito di mafia catanese, Maurizio Avola, autoaccusatosi di ben 42 omicidi prima di decidersi a collaborare con lo Stato.
La Procura reggina, dopo una serie di accertamenti anche a Messina, ha proceduto alla notifica di circa 20 avvisi di garanzia a carico di personaggi di primo piano di Cosa nostra e della 'ndrangheta, fra i quali Giuseppe De Stefano, Giorgio De Stefano, Pasquale Condello, Giovanni Tegano(defunto), Giuseppe Morabito, Luigi Mancuso, Giuseppe Zito, Franco Coco Trovato, suocero di Carmine De Stefano, e Francesco Romeo, cognato messinese di Nitto Santapaola, Vincenzo Zito, Pasquale Bertuca.
Gli inquirenti, nel documento notificato agli indagati, riferiscono molti particolari dell’agguato a Scopelliti, con una presenza sulla scena del delitto di una Alfa Romeo 164 con a bordo Matteo Messina Denaro, una potente berlina tedesca, guidata da Aldo Ercolano, e una Fiat Uno condotta da Marcello D’Agata, a bordo della quale Vincenzo Salvatore Santapaola si sarebbe allontanato dopo aver sparato contro Antonino Scopelliti.
Secondo la ricostruzione della Procura distrettuale reggina, «le informazioni relative alle abitudini di vita del magistrato furono fornite da Salvo Lima a Matteo Messina Denaro» che si sarebbe servito di un basista calabrese per preparare i particolari dell’agguato costato la vita al coraggioso magistrato. Maurizio Avola, inoltre, avrebbe confessato di avere guidato la Honda Gold Wing, servita per l’attentato, e si sarebbe premurato di occultarla insieme alla doppietta Zabala, ritrovato qualche anno grazie alle sue indicazioni, a Paternò, in provincia di Catania.
Per la Procura di Reggio Calabria, l’omicidio di Antonino Scopelliti si inserisce tra «le causali degli omicidi e dei tentati omicidi con l’intento di indurre lo Stato a trattare in tema di benefici penitenziari e alla disciplina dei pentiti». Secondo gli inquirenti, infine, «il mandato omicidiario proveniva direttamente da Totò Riina» e l’omicidio di Scopelliti fu deciso nel 1991 nel corso di una riunione nel Trapanese.
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