Siria Scarfò, l'ex suora di Polistena: «Io, abusata dal parroco ho deciso di metterci la faccia»
Parole pesanti come macigni, capaci di colpire la coscienza di ciascuno nel profondo e di riaprire il dibattito su una piaga enorme come la pedofilia. Tra società e chiesa, pensiero collettivo ed esigenze private. Ha fatto scalpore il libro “Mi svelo” di Siria Scarfò, l’ex suora di Polistena che, dopo anni di dolorosa attesa, è riuscita a raccontare le violenze subite tra il 1991 e il 1997 nella sua parrocchia. Al centro delle accuse un prete oggi 80enne da cui avrebbe commesso abusi sia fisici che psicologici. Un lungo periodo di sofferenza interiore “custodito” ma mai elaborato: qualcosa di orrendo con cui fare i conti giorno dopo giorno, alla costante ricerca di un punto di equilibrio lontano dall’abisso. Il volume è stato pubblicato lo scorso 15 marzo. Il 2 maggio, Siria Scarfò ha incontrato il vescovo della Diocesi di Oppido-Palmi, mons. Giuseppe Alberti, per raccontare, spiegare e spiegarsi. L’altro ieri, con una nota ufficiale, il prelato ha fermamente condannato i fatti accaduti esprimendo la piena disponibilità della chiesa diocesana a collaborare. Un segnale fortissimo che non è passato inosservato all’opinione pubblica.Siria, si aspettava dichiarazioni così nette e significative da monsignor Alberti? «Le sue dichiarazioni non mi hanno sorpresa. Il 2 maggio mi ha voluta incontrare per ascoltarmi e capire. Piuttosto, mi ha fatto riflettere la rapidità con cui è arrivata la presa di posizione ufficiale. Evidentemente Alberti ha creduto in ciò che ho raccontato, cosa che non è accaduta anni fa quando dissi della mia drammatica esperienza a monsignor Luciano Bux. Ai tempi ne parlai con l’allora vescovo alla presenza di un testimone ma non successe niente. Oggi è apparso subito evidente il cambio di approccio nei miei confronti». Com’è nata l’idea di affidare a un libro una storia così dolorosa? «Per me è stato come fare i conti con un malessere profondo piantato dentro l’anima. Un’elaborazione di fatti accaduti tanto tempo fa ma sempre presenti. Gli abusi sono iniziati nel 1991, quando avevo appena nove anni, e sono durati fino al 1997. Per lo shock emotivo ho rimosso tanti ricordi, ma alcune persone care mi hanno aiutato a ricordare e a collegare i pezzi del mosaico. Non è stato facile. In quegli anni è nato mio fratello, affetto da una grave patologia. I miei genitori hanno pensato che la chiesa, accanto alla cura dei nonni materni, fosse un posto sicuro per me in quel frangente così difficile. E invece non lo era. L’abuso è stato fisico e psicologico. Il prete mi diceva “sei tanto bella quanto stupida”. Mi sentivo davvero stupida e isolata. Avevo solo un amichetto di cui il prete si serviva per avvicinarmi. Questo bagaglio doloroso è emerso sotto forma di inchiostro sulle pagine del mio libro. Quasi il compimento di una consapevolezza. I proventi delle vendite vanno a tre realtà a me molto care e non ho interesse economici. Io voglio solo che questa piaga trovi piena conoscenza nella società e nella chiesa. Mi sono svelata per dare un messaggio universale che spero serva a molte persone. Ho deciso di metterci la faccia, nella vita oltre che nella copertina. Le cose vanno chiamate con il loro nome e quello che io pago ancora oggi sono i segni della pedofilia. Un crimine che cancella la vita di una persona. C’è chi non supera questo dolore. E anche io, a volte, penso di non farcela, di perdere l’equilibrio e mollare». Ha denunciato alle autorità? «C’è un esposto pronto, ma non l’ho mai formalizzato. Fino all’uscita del libro non sono mai stata seguita e aiutata in questo senso. Ho vissuto nella paura di non essere creduta. Tutto quello che ho vissuto l’ho scritto in una lettera inviata al vescovo Alberti». Perché tanti “haters” l’hanno presa di mira sui social? «Purtroppo la frustrazione di molti trova sfogo sui social network. Ho denunciato ai carabinieri un profilo anonimo per istigazione al suicidio. Come si fa a non avere empatia verso chi soffre? Ormai la cattiveria colpisce chiunque indiscriminatamente». Le capita ancora di incrociare il prete che le ha fatto del male? «Sì, per le strade di Polistena. E ogni volta tengo alto lo sguardo. Ma non ci parlo dai tempi degli abusi». La Chiesa sta facendo abbastanza contro la pedofilia? «Con il vescovo Alberti mi sono sentita fortunata, perché mi ha ascoltata. Il tempo dirà se seguiranno i fatti. In termini generali penso che la Chiesa sia consapevole della necessità di pulizia e di un cambio di passo su questo fronte. Ma la strada da fare è tanta». Ha deciso di svestire l’abito di suora. Come vive oggi la fede? «Ho lasciato il convento per incomprensioni che nulla hanno a che fare con le violenze. Nel libro spiego nel dettaglio. Il mio è stato un percorso intenso che, tra formazione e voti, è durato dodici anni. Sette anni li ho trascorsi in Messico in missione. Di questa esperienza ho bellissimi ricordi. Poi lì un prete mi ha accusata di cose non vere. Oggi la fede rimane il mio punto di forza. Credo sia stata proprio la fede a salvarmi». Ormai vive con la sua compagna a Lamezia. Una nuova vita. Le parole di papa Leone XIV sulla famiglia tradizionale l’hanno delusa? «Dare una risposta adesso è difficile e prematuro. Papa Francesco aveva fatto un’apertura empatica su questi temi. Il nuovo Pontefice è una figura di diplomazia che ribadisce, si dall’inizio del suo cammino, le idee plurisecolari della Chiesa. Forse in cuor suo la pensa come il predecessore, ma saranno i fatti a parlare. È ovvio che però oggi tante persone possano rimanerci male».