
Una presunta corruzione di un giudice per evitare l’ergastolo a un boss, servizi segreti, massoneria, pacchi di banconote sottovuoto. Le tre ore di testimonianza del collaboratore di giustizia Cosimo Virgiglio davanti al tribunale di Palmi, dove si sta celebrando il processo “Mala Pigna”, sono state ricche di spunti grazie alle dichiarazioni rese dal 59enne di Rosarno.
Dichiarazioni che si sono concentrate sulla sua vicinanza al boss Rocco Molè, ucciso l’1 febbraio 2008, che gli sono costate l’arresto e poi la condanna, per associazione mafiosa seppur mitigata dalla sua scelta di collaborazione. All’interno della sua lunga deposizione, però, hanno trovato posto anche dichiarazioni in certo qual modo inedite e tutte da verificare. Tra queste, le più importanti sono la presunta corruzione di un giudice per permettere a Rocco Molè di evitare l’ergastolo e la sua appartenenza al Sisde, l’ex servizio di intelligence italiano sostituito dall’Aisi dopo la riforma dei servizi segreti del 2007. Cosimo Virgiglio negli anni ’90 ha una fiorente azienda di operatore doganale e spedizioniere nel porto di Gioia Tauro. Nei suoi verbali di collaborazione emerge come quell’attività avrebbe fatto gola ai clan di Rosarno, che iniziano a porre in essere una serie di intimidazioni per costringerlo a entrare in affari con loro. La paura per la sua vita porta l’allora imprenditore a rivolgersi al suo amico Giuseppe Speranza detto Pino, genero di Rocco Molè, per avere protezione. Una richiesta che, come sosterrà Virgiglio, lo porterà nelle braccia del boss della ‘ndrina di Gioia Tauro.
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