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Marcello Fonte: «Ho sempre Reggio dentro»

«Lì sono le mie origini e non le dimentico di certo: quella è la mia vita»

Marcello Fonte: «Ho sempre Reggio dentro»

Reggio Calabria

Un candore e una semplicità quasi disarmanti. Un entusiasmo che sarebbe stato anche solo difficile immaginare sapendo di avere dall’altro capo del telefono il fresco vincitore della Palma d’oro per il miglior interprete al festival del cinema di Cannes. E invece Marcello Fonte, 39 anni, reggino, protagonista di “Dogman” di Matteo Garrone, riesce ad andare oltre. «Finalmente, finalmente. Non vedevo l'ora di parlare con la Gazzetta, il giornale della mia città. Vincere a Cannes è fantastico ma anche questa telefonata per me è un altro piccolo sogno che si è avverato. Parlo con la Gazzetta e parliamo di cinema...».

Marcello appena sveglio qual è stato il primo pensiero?

«Mi sono sentito immerso in una favola. Mi sono svegliato in albergo di lusso, tra gente che mi tratta da divo... che dire!».

Insomma, nulla a che vedere con quel racconto fatto delle giornate di pioggia trascorse, ancora ragazzo, con i familiari nella baracca di Archi...

«Sì, ma quelle sono le mie origini e quelle non le dimentico certo. Quella è la mia vita, Reggio è la mia città dove torno appena posso e comunque ogni estate. Quel rione è dove ci sono gli amici con i quali suonavo nella banda e ai quali mi unisco appena possibile».

Ma è innegabile che adesso la vita ha preso un’altra piega, c’è davanti un’altra strada...

«La mia vita è cambiata? Lo vedremo. Quello che non è certamente cambiato è il mio modo di essere. Quando tornerò a Reggio, al più tardi spero a luglio, andrò a stare a casa ad Arghillà, in quel palazzo dove mia mamma, a 80 anni, deve fare le scale a piedi perché l’ascensore non funziona mai, dove l’acqua non arriva sempre... Io da lì sono partito e non lo dimentico. Io da lì sono partito, da quel “pezzetto” di terreno incolto lungo il letto del torrente Scaccioti che mio padre pulì personalmente con tanti sacrifici facendone una specie di giardinetto. Insomma, “munnizzaru” ero e “munnizzaru” rimango: se dovessi vedere qualcosa abbandonata in quel terreno, che per me è casa, mi chinerei a prenderla perché sento un legame profondo con la mia terra».

Questa tua palma d’oro rappresenti molto anche per Reggio e per la Calabria?

«Ci spero, me lo auguro con tutto il cuore. Dentro i calabresi c’è tanta poesia e spero proprio che questa notorietà, questo premio, riesca a dare una spinta a tutti: il mio sogno è che magari da questa vicenda possa nascere una nuova attenzione verso la Calabria e che ciò si traduca anche in nuove opportunità pure di lavoro».

Di sicuro il successo di “Dogman” spingerà in alto “Asino vola”, il tuo primo lavoro realizzato in larga parte proprio nei luoghi di casa...

«Ci conto, eccome se ci conto. Lo scorso anno è stato proiettato durante la rassegna cinematografica realizzata nell’ambito della stagione di Catonateatro. Poi lo abbiamo tenuto un po’ più “riservato” e ora spero che invece possa arrivare a molti più spettatori».

Quanto manca Reggio a Marcello Fonte?

«Tanto. Ma dentro di me è sempre presente. Sono andato via 17 anni fa ma rientro appena posso, almeno ogni estate».

Quando era ancora a casa, con i suoi, pensava che un giorno sarebbe arrivato dov’è adesso?

«Io? Nemmeno per sogno! Il cinema mi piaceva ma fino a quando sono stato a Reggio non sono mai andato al cinema. Sono entrato solo al teatro Cilea... Sette fratelli, una condizione economica complicata, il cinema per me, per noi, era un lusso. E poi pensate a quella povera donna di mia madre: se diceva sì ad un figlio lo avrebbe dovuto dire a tutti...»

Cosa ha convinto la giuria del Festival?

«Penso la mia spontaneità, la mia semplicità. Io sul grande schermo sono come nella vita di ogni giorno».

Chi è Matteo Garrone?

«Un grande. Posso dirlo? O meglio, io lo dico poi non so se si potrà scrivere: ha le palle quadrate!».

Una dedica per questa palma d’oro?

«Alla Calabria. Credo nella bellezza della mia terra. Credo che la Calabria abbia tante opportunità ma serve che si allarghi la visione, che si diventi meno provinciali e che si abbia un respiro più internazionale».

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