Una coppia di giovani turisti alle 9 del mattino è stata la prima a varcare la grande soglia spazio-temporale di palazzo Piacentini per tornare a immergersi nella storia del MAaRC. E, a seguire, tanti altri ospiti, reggini e forestieri hanno animato piazza Paolo Orsi e i due livelli riaperti al pubblico dopo la lunga e pesante quarantena invernale imposta dalla pandemia di coronavirus. Si dichiara estremamente soddisfatto il direttore Carmelo Malacrino durante il primo fine settimana di riapertura: «Volevamo dare un segnale di positività al territorio e al suo tessuto economico e sociale – ha evidenziato –. Riaprire il Museo, seppur parzialmente, vuole essere un incoraggiamento per tutti e uno stimolo alla ripresa della vita civile». Segnale colto e apprezzato dal pubblico visto che in breve si è raggiunto e superato l’obiettivo dei 200 visitatori previsti. Difficile trovare un profilo omogeneo di chi ha visitato il museo nel primo giorno di apertura nonostante l’afa estiva indicasse ben altre mete: «Abbiamo notato fra i visitatori molta gente forestiera. È evidente che la casa dei Bronzi è un attrattore forte che riprende la sua funzione in questo periodo postemergenziale». Non solo bronzi ovviamente. I livelli visitabili del museo espongono collezioni ed allestimenti temporanei importanti per motivi diversi come il caso di “Philía. Restauri sostenuti dai privati con l’Art Bonus”. L’esposizione di 40 opere curate direttamente dal direttore Malacrino è una testimonianza di quanto possa essere efficace la collaborazione fra pubblico e privato. I reperti, restaurati grazie al contributo di aziende, persone fisiche ed enti non commerciali che hanno usufruito dei benefici fiscali previsti dal sistema, sono lì a parlarci dell’idea del bello iscritta nel dna del territorio che calpestiamo quotidianamente: dal busto della statua marmorea di Ercole con la sua pelle di leone e l’iconica clava al mosaico a tessere bianche e nere di età imperiale; dagli specchi in bronzo, di età classica, provenienti dalla necropoli di Lucifero a Locri alle testine votive di Medma progenitrice dell’attuale Rosarno. Ecco, queste opere in questi lunghi mesi di “timor-virus” sono state osservate solo dal personale di servizio che ha custodito altrettanto silenziosamente il patrimonio archeologico del grande forziere storico di piazza De Nava. Alla “squadra museo” il direttore Malacrino ha voluto dedicare un particolare ringraziamento: «Il personale non si è tirato indietro e ha condiviso onori e oneri di lavorare al museo in un momento difficilissimo per tutti». Personale fortemente sotto organico, come rileva il direttore evidenziando che su 99 risorse previste in pianta organica quelle assunte in servizio sono 46. Con questi limiti e con le incognite di una situazione senza precedenti i servizi sono stati organizzati lo stesso con un unico intento: «Mettere personale e visitatori in totale sicurezza e dare agli ospiti la possibilità di abbandonarsi ad un dialogo intimo con le opere esposte». Per fare questo è stato progettato un servizio di accoglienza efficiente e sicuro con l’adozione di tutte le prescrizioni imposte o semplicemente consigliate per tutelare al massimo la salute delle persone. Le visite sono state contingentate per gruppi di 10 persone al massimo e scaglionate in turni d’ingresso ogni venti minuti. Le persone si sono prenotate telefonicamente o direttamente al desk dimostrando grande disponibilità verso i protocolli di sicurezza che comprendevano anche termoscanner e metal detector. Piccoli sacrifici personali utili a gustare ancora una volta l’emozione creativa di un’arte millenaria e immortale di cui noi oggi siamo custodi responsabili e transitori.