All’invito di Gioacchino Criaco, il drago d’Aspromonte dal mite sorriso, hanno risposto in tanti. E così la grande quercia del rifugio Carrà, poco sopra Africo Antica, ha coperto con le sue fronde maestose pensieri e parole di scrittori, giornalisti, registi, menestrelli e visionari giunti da tante parti di Calabria e d’Italia per “Il terzo anno in Aspromonte”. Sapere sognare era la parola d’ordine e il filtro d’accesso, poi tutti sullo stesso piano, quello rustico dell’agorà naturale che si allarga sotto il casello rimesso a nuovo da volontari e istituzioni. È stato un evento simile a quanto avveniva un tempo nelle poleis della marina e dell’entroterra quando i liberi cittadini si riunivano per ascoltare prima che per parlare. Le idee di uno diventavano così i progetti della comunità che cresceva e mutava come le stagioni, le montagne e i boschi.
«Quale futuro può avere – si è chiesto Criaco – una terra che da troppo tempo non sogna e non progetta?». A questa domanda, a turno, hanno provato a rispondere in tanti con contributi e sfaccettature convergenti e interessanti che confluiranno «in un progetto collettivo – è sempre Criaco che spiega – che verrà dal basso e dalla Calabria». C’è una «strategia aspromontana» perseguita con grande convinzione dietro il riuscito incontro estivo in cui si sono evitate le passerelle politiche e si è dato spazio al protagonismo di soggetti appartenenti alla società civile e responsabile: «Vogliamo fare incontrare la visione fantastica di alcuni con la capacità tecnica e pragmatica di altri per trasformare sogni in progetti concreti».
Da qui è stato un crescendo e un incrocio di suggestioni e riflessioni – tantissime, caleidoscopiche – introdotte da Leo Autolitano, il presidente del Parco d’Aspromonte: «L’Ente dal mio punto di vista dovrà tornare a realizzare progetti forti sul territorio con momenti culturali e iniziative che lasciano il segno». E poi l’insediamento prestigioso di Africo che coniuga il suo retaggio storico e spirituale (la presenza di San Leo) con la valenza naturalistica testimoniata fra le altre cose dal Farnetto, un tipo particolare di quercia rarissima in altre parti d’Italia. Per Valerio De Nardo (collettivo Lou Palanka), «draghi, delfini e ippocampi costituiscono le radici da cui ripartire per raccontarci quello che siamo stati e quello che potremmo essere». La giornalista Emanuela Gemelli ha rilevato il contributo determinante dell’associazione “Insieme per Africo” che ha organizzato logisticamente la giornata: «Questi ragazzi sono stati capaci di un miracolo: costruire prima della strada le motivazioni per percorrerla». E in quest’intuizione sta una leva fondamentale. Se si costruisce un progetto collettivo forte allora le difficoltà – come i tremendi 3 chilometri di sterrato da percorrere per raggiungere il rifugio – si superano.
E poi tanto ancora con la musica di Paolo Sofia ad allietare il pranzo comunitario e il lungo pomeriggio conviviale fra ulteriori arrivi, condivisioni trasversali di esperienze e visite ai “luoghi sacri” della rocca del drago, delle caldaie del latte e di Africo antica.
Cosa resta di questa giornata? «La disponibilità formalizzata delle competenze tecniche al servizio dell’idea di sviluppo». E poi l’istituzionalizzazione dell’incontro annuale a Carrà e le azioni dell’Ente Parco per valorizzarlo. «Il presidente Autolitano si è preso l’impegno di recuperare la viabilità d’accesso e la fruibilità del paese vecchio e di provvedere alla pulizia dei sentieri». Il rifugio Carrà diventerà una delle tappe attrezzate del “cammino della Fede”, un percorso lungo mille chilometri che si snoda per tutta Italia e che qui si declina in termini basiliani e romei.
Sogni che per diventare progetti si alimenteranno di incontri periodici e itineranti lungo tutta la Calabria per far sentire alle istituzioni la pressione positiva di questa lobby di inquieti resistenti aspromontani.
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