«L'impatto rapido di un messaggio in cui riconoscersi senza confondersi»: è l'essenza delle opere firmate dal 52enne americano Obey – al secolo Frank Shepard Fairey – , uno dei più noti esponenti dell'arte di strada diventato famoso con “Hope” l'immagine non ufficiale di Barack Obama prodotta per la campagna presidenziale del 2008 e caro anche al celeberrimo Banksy che l'ha inserito in “Exit through the gift shop”, primo e ad oggi unico documentario diretto dall'artista inglese e presentato per la prima volta al Sundance Film Festival del 2010.
«Make art not war» è il titolo della mostra a cura di Gianluca Marziani e Stefano Antonelli, prodotta e organizzata da MetaMorfosi Eventi e allestita nel Palazzo della Cultura “P. Crupi” – dove resterà sino al prossimo 5 giugno – in collaborazione con la Città metropolitana di Reggio Calabria. A presentarla ieri, in conferenza stampa, Pietro Folena, presidente di MetaMorfosi Eventi , il sindaco metropolitano facente funzioni Carmelo Versace, il consigliere metropolitano delegato alla Cultura Filippo Quartuccio e la dirigente di settore Giuseppina Attanasio.
Tra le opere in esposizione serigrafie e litografie, provenienti da collezioni private, che fanno di Obey «il prototipo fluido del nuovo artista politico». Tra i riferimenti più importanti all'attualità in mostra a Reggio c'è l'ultima creazione dedicata alla guerra tra Russia e Ucraina: “Diplomacy over violence”, realizzata dall'artista a ridosso dello scoppio del conflitto e in cui ha reinterpretato la Marianna, simbolo della Francia e protagonista della sua “Libertè , Egalitè, Fraternitè” del 2018, ammantandola dei colori giallo e azzurro della bandiera ucraina. Un'opera che è un vero e proprio inno alla Pace, come spiega lo stesso autore: «Quest'immagine simboleggia il mio sostegno al popolo ucraino e il mio sostegno a chiunque creda che la pace sia preferibile alla guerra. Date la priorità alla diplomazie e alla creatività rispetto alla violenza!».
Di grande impatto anche la serigrafia “This machine kills fascists” (questa macchina uccide i fascisti) che ricalca un messaggio che Woody Guthrie, tra i folk singer più importanti della storia musicale statunitense, mise sulla sua chitarra nei primi anni '40. Intriganti anche le serigrafie al femminile “Spirits of Independence” dedicate all'afroamericana Angela Davis, ad un'attivista zapatista, a una rivoluzionaria vietnamita e ad una musulmana velata entrambe corredate di fucile ma nella cui canna c'è una rosa, con la parola PACE a caratteri cubitali in un angolo.
L'allestimento, visitabile tutti i giorni dalle 10 alle 20 (chiuso il lunedì e domani), segue quattro tematiche: donna, ambiente, pace e cultura. «Stimolando riflessioni – spiegano i curatori – su temi umanitari, su paesaggi esistenziali, utopie sociali e su valori di giustizia al di sopra delle leggi». E dunque, il Female power che vede la donna «come centro tolemaico del mondo, sole irradiante che intreccia militanza, erotismo e indipendenza»; l'Environment power dove ambiente e nuova ecologia sono «ambito centrale delle nuove correnti antagoniste»; il Peace power, ossia «la politica come spazio di democrazia reale e consapevolezza etica»; il Cultural power, ovvero «il sistema culturale come spazio iconografico di un antagonismo virale».
L'auspicio è che i visitatori entrino in sintonia con la forza di un messaggio che dimostra la mediocrità della propaganda politica, aspirando a generare una “lezione” di civiltà visuale che alimenta la consapevolezza di massa. E per dirla con Marziani e Antonelli: «Che ci crediate oppure no, solo l'Arte può ancora salvare il mondo».
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