«In una terra dimenticata da Dio, un giorno arrivarono gli Dei». Inizia così il docufilm «Semidei» che ripercorre mezzo secolo di storia raccontando la vicenda dei due misteriosi guerrieri che riemersero dal mare di Riace nel 1972, dopo duemila anni trascorsi sott’acqua. Sessanta ore di produzione ed una permanenza di 22 su 24 giorni in Calabria, con una piccola parentesi romana. Tutto questo per rappresentare quel mito che, fin da subito, ha circondato le due figure «apparse scurissime in un mare limpido» e per raccogliere testimonianze piene di passione come quella di Nuccio Schepis, il restauratore reggino che nel laboratorio allestito nella sala Monteleone di Palazzo Campanella ha vissuto quatto anni a stretto contatto con le due statue. Ed oggi dice: «Sono stati uno dei più grandi regali che la vita mi abbia fatto». «Semidei» attraversa i territori di Reggio, Riace, Monasterace, Gioia Tauro e Roccella e attraversa anche sfide culturali e sociali, come le guerriglie per il capoluogo e la tragedia di Cutro, raccoglie interviste, documenti inediti, testimonianze dirette. Ma, al contempo – forse perché «il recupero d’urgenza delle statue non ha consentito una esplorazione subacquea completa dello specchio di mare» –, lascia ai posteri diverse domande: «Le statue sono soltanto due?»; «che fine hanno fatto lance e scudi?»; «è stato per primo Mariottini a ritrovarli, come ha sancito il tribunale nel 1978, mettendo la parola fine ad una lite giudiziaria?». In questo filo sottile tra il passato ed un futuro forse ancora da scrivere, s’inserisce il progetto cinematografico prodotto da Palomar Mediawan e realizzato con il sostegno della Regione Calabria e Fondazione Calabria Film Commission, in occasione delle celebrazioni dedicate al 50° anniversario del ritrovamento dei Bronzi di Riace. Scritto da Armando Maria Trotta, Giuseppe Smorto, Massimo Razzi e Fabio Mollo, e con la regia di Fabio Mollo (reggino, classe 1980) e Alessandra Cataleta, «Semidei» è stato presentato in anteprima mondiale alle Giornate degli Autori alla Mostra di Venezia, nella sezione «Notti Veneziane» per approdare, a dicembre, al teatro Francesco Cilea e dare vita ad un percorso di riflessione e di confronto tra gli studenti della provincia reggina ed i protagonisti. «Sono profondamente grato a Fabio Mollo e ad Alessandra Cataleta per essere stati capaci, con la loro arte, di fare parlare i Bronzi di Riace, facendo comprendere il senso ancora attuale di un’opera di duemilacinquecento anni fa. I Bronzi sono stupendi e tecnicamente inarrivabili – ammette il professore ed archeologo reggino Daniele Castrizio, che ha formulato anche una ipotesi su chi raffigurino i due guerrieri –, ma non ci si può fermare alla loro fruizione estetica, soprattutto quando essi rappresentano il biglietto da visita della Calabria e della Magna Grecia al cospetto del mondo intero. I due capolavori da Riace, intesi come parte del gruppo dei Fratricidi di Pitagora di Reggio, sono un inno alla pace, all’inutilità dei conflitti tra fratelli, delle lotte civili, delle guerre tra poveri». Rilancia Castrizio: «Anche se Eteocle e Polinice sono due personaggi negativi, perché hanno ceduto all’orgoglio e alla brama di potere, sono stati realizzati bellissimi, un trionfo di armonia e simmetria, per un motivo importante: essi avrebbero potuto costituire il muro difensivo invalicabile della loro patria, gli eroi che non potevano essere sconfitti, l’orgoglio dei Tebani, ma si sono annullati combattendo l’uno contro l’altro; il loro enorme potenziale si è rivoltato contro la città e il suo popolo. La profezia di Tiresia si avvera sempre, come hanno compreso Augusto e Costantino, e come anche oggi accade, dall’Ucraina al martoriato Vicino Oriente: se due fratelli si combattono, non può esserci nessun vincitore, ma tutti perdono». «I Bronzi sono stati una mia fissazione di reggino – esordisce Giuseppe Smorto, giornalista e scrittore, già vicedirettore di Repubblica – ; due anni fa avevo scritto un soggetto assieme a Massimo Razzi in cui, per la verità, la storia era quella di un ritorno dall’Australia; invece, poi, il film è diventato soprattutto la storia di alcuni restanti, detta alla Vito Teti. Ed i primi restanti sono proprio i Bronzi. Ho lavorato su due personaggi – sottolinea ancora Smorto – . Prima di tutto Stefano Mariottini, l’uomo che li scoprì. Non è stato facile convincerlo, era scottato dalle polemiche, ci abbiamo messo sei mesi. Poi si è aperto: a me piace ricordare che per 40 anni ha continuato a collaborare con la Soprintendenza. L’altro personaggio è Daniele Castrizio, questa strana figura di prete ortodosso, questo professore eternamente entusiasta e insoddisfatto, ammalato di bronzite. I registi sono stati meravigliosi: Fabio Mollo e Alessandra Cataleta hanno girato per sessanta ore, e non escludo che da queste immagini possa nascere anche altro. In ogni scena c’è un rimando, le immagini sono stupende. “Semidei” è rifinito benissimo e – assicura Smorto – , porterà i Bronzi e Reggio in giro per il mondo».