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Strega Giovani, a una studentessa di Locri il premio per la migliore recensione

Tra gli studenti dello Zaleuco la bravissima Federica ha dato prova delle sue ottime capacità critiche e dell’acutezza del suo sguardo

Federica Pitone, studentessa del liceo scientifico “Zaleuco” di Locri, si è aggiudicata il Premio Strega Giovani per la migliore recensione del romanzo «Cose che non si raccontano» di Antonella Lattanzi (Einaudi). La ragazza, che frequenta la III A del liceo della Locride, ha ottenuto anche una borsa di studio offerta da Bper Banca.

Federica, originaria di Siderno, accompagnata alla cerimonia dalla prof. Rosella Fontana, ha letto la sua recensione davanti all’autrice che l’ha ringraziata per l’intensità delle sue parole. Poi si sono scambiate le dediche; e Federica sulla sua recensione ha scritto alla Lattanzi: «Grazie per avermi regalato il mio libro preferito oltre alle mille lacrime».
È la prima volta che lo Zaleuco di Locri, guidato dalla dirigente scolastica Carmela Rita Serafino, partecipa allo “Strega Giovani”, dove dieci studenti hanno avuto il compito di leggere e recensire i dodici romanzi finalisti del premio letterario più importante d’Italia. Tra gli studenti dello Zaleuco la bravissima Federica ha dato prova delle sue ottime capacità critiche e dell’acutezza del suo sguardo. «Pensavo di non vincere perché prima di me un’altra ragazza aveva letto una recensione molto bella. Quando mi hanno detto che avevo vinto non me l’aspettavo: la mia prima reazione è stata cercare fra il pubblico i miei genitori e la mia professoressa Rosella Fontana per avere la conferma che fosse tutto vero. Frequento il corso di “curvatura biomedica” dello Zaleuco perché vorrei diventare una pediatra», racconta Federica che però ha un altro sogno nel cassetto: «Vorrei scrivere un romanzo...».
La sua recensione inizia con la domanda «Perché piangi leggendo questo libro, cos’ha di così speciale?», a cui risponde ripercorrendo, attraverso i sentimenti, le pagine del romanzo: «Non si tratta di uno dei tanti libri che attendono di essere letti – scrive Federica – , che ti stufa dopo poco, che non ti arriva al cuore, con un colpo secco o che a malapena ti sfiora. La storia che la narratrice racconta, la sua, è ben altro, è così forte da fuoriuscire dalle pagine, da appigliarsi alla tua sensibilità, frantumandola, senza neppure chiedere il permesso. Ad ogni capitolo il suo dolore si fa sempre più vicino, talvolta soffice, talvolta brutale».
Federica parla delle sue emozioni di lettrice: «Ho immaginato di viverlo sulla mia stessa pelle, di avere anche io lo stesso destino, di non saperci convivere; è questo il potere del libro: ti contagia con la sua sofferenza, portandola dentro di te, lasciandoti il compito di accoglierla. La narratrice ti consente di visitare i suoi sensi di colpa, di rivederti in essi, di comprendere il suo sentirsi parte di ciò che le ha portato via il sogno, naturale, di essere madre, la convinzione di meritare tutto ciò che le sta accadendo».
Federica centra il cuore della narrazione: «Ciò che hai di fronte non è più un semplice libro, è una donna e ciò che le è stato tolto. Una donna che ha perso i suoi figli, che soffre per non averli protetti, per aver dato precedenza alla carriera; si sforza di non pensare a quali sarebbero stati i loro nomi, alla loro età attuale...». E Federica pone l’accento sulla principale qualità della prosa della Lattanzi: «La speranza che ha saputo essere spietata, la sincerità che si impone di mantenere nella scrittura, ti fanno credere di essere al suo fianco, come se la stessi ascoltando, mentre apre quelle porte chiuse da tempo. Così, ad un certo punto, ti ritieni capace di arrivare, tramite la lettura, direttamente a lei, di poterle asciugare una lacrima, come fossi un’amica. Ha attorno solo silenzio, prova rabbia, vorrebbe parlarne, mentre, a farle compagnia in quel dolore, è soltanto il sangue che esce dal suo corpo, imperterrito, e il tentativo di misurarne la quantità. E così, quando per paura di non essere capita, preferisce chiudersi in sé stessa, quello che ne rimane è la solitudine».
E conclude parlando al lettore: «So bene cosa significhi avere mille cose da dire, lì sulla punta della lingua, contente di poter essere accolte, per poi essere soffocate. Farebbe troppo male ricevere silenzio. Ora, dimmi, hai capito perché?».

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