Solo pochi giorni fa, il professor Giuseppe Caridi, presidente della Deputazione di Storia Patria della Calabria, ha ricevuto il premio letterario “Città di Amantea” sbaragliando la concorrenza (circa 200 volumi pervenuti) con il volume «Ferrante re di Napoli. Quando il potere era al Sud» (Rubbettino).
Ancora una volta, la sete di ricerca affonda virtuosamente nell'analisi storica grazie ad intelligenze sempre pronte a mettersi in gioco ed ad interrogare la società di ieri e di oggi. «Sono emozionato, forse anche un po’ sorpreso; ai premi non ci si abitua mai», ammette il professor Caridi, il quale ha evidenziato, nel suo saggio storico, il ruolo fondamentale del Mezzogiorno d’Italia nel Quattrocento, secolo in cui quello di Napoli era l'unico Regno in una penisola disseminata di Repubbliche e Signorie.
«Con l'ascesa al trono di Napoli di Ferrante d’Aragona, che avrebbe regnato per 36 anni, dal 1458 al 1494, il Mezzogiorno d'Italia – esordisce – , si pose al centro della politica italiana, esercitando una costante leadership sugli altri stati della Penisola. Il potere quindi era al Sud che, grazie alla lungimiranza del sovrano aragonese, si sviluppò in campo economico con la forte crescita della produzione della seta e culturale, facendo di Napoli uno dei maggiori centri propulsori del Rinascimento. In collegamento con le precedenti biografie: Carlo III, Francesco di Paola, Alfonso il Magnanimo, il mio obiettivo è stato quello di rivalutare, attraverso la figura e l'opera del protagonista, il ruolo del Mezzogiorno approfondendone la storia che purtroppo nei manuali scolastici è confinata in poco spazio a vantaggio di altri potentati italiani, dalla Signoria di Firenze al Ducato di Milano, alla Repubblica di Venezia, su cui invece in quel periodo la Corona aragonese esercitò una forte influenza».
Ed ecco, nello sguardo profondo sul Mezzogiorno, ricucirsi il filo sottile tra passato, presente e futuro. «La conoscenza di un passato glorioso, successivo a quello mitico della Magna Grecia, può concorrere a fare superare ai meridionali una sorta di complesso di inferiorità nei confronti del resto del Paese e vincere il luogo comune di un Sud sempre arretrato. Consapevoli dell'importanza avuta in determinate fasi storiche – sottolinea Caridi – , si possono affrontare con maggiore slancio sotto il profilo psicologico i problemi endemici che affliggono il Mezzogiorno, la cui attuale subalternità non è perciò da considerare ineluttabile, come testimoniano le vicende del passato».
Quale dunque il ruolo della cultura, della ricerca e della curiosità?
«Indubbiamente, la cultura ha un ruolo fondamentale nella formazione delle coscienze alimentando la consapevolezza di superare le sterili lamentele ed il rivendicazionismo passivo per dare la spinta necessaria a risolvere le questioni sul tappeto. Ognuno dovrebbe dare il suo contributo in questo senso e nel settore storiografico, a mia volta, con le ricerche e gli studi tradotti in volumi, presentati in molti centri del Sud, mi sforzo di sensibilizzare l'opinione pubblica con tale precipuo obiettivo».
Con quali spazi per le intelligenze e per gli intellettuali?
«Il Mezzogiorno ha un bisogno di diffusione della cultura che è il mezzo principale per promuovere una crescita basata sulla capacità critica che si acquisisce anche mediante una corretta conoscenza del nostro passato. Gli intellettuali hanno quindi un compito molto importante di indirizzo e guida nella realtà attuale. Per quanto mi riguarda, stimolato ulteriormente da questo premio, continuerò ad occuparmi di personaggi e vicende che storicamente hanno contrassegnato il Mezzogiorno con un respiro però di carattere europeo. È questo il caso del mio prossimo libro che uscirà a settembre: "Il cardinale Ruffo e la straordinaria avventura del 1799"».
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